L’arte di Filippo Maggiore 

La pittura di Filippo Maggiore, bagherese, si inserisce in un lavoro indirizzato a precisare diversi aspetti della realtà che lo circonda e con la quale conserva un legame stretto, autentico. 

Emerge una indiscutibile capacità di unire, di comporre opere non soltanto con linee e colori, ma anche con idee e rappresentazioni tali che arte, cultura e vita si fondono magistralmente. 

Vedere le tele del Maggiore è come muoversi in un poliedrico stadio dove ogni opera esprime emozioni e stimoli, ricordi e partecipazione. Ove volessimo cercare di identificarlo, connotarlo e non confonderlo con altri, oseremmo definirlo una sorta di “candido metafisico” che. pur partendo sempre da una puntuale osservazione del reale, giunge a valicare i confini quasi che, dinanzi al pennello del pittore, il creato e la vita si spogliassero della loro storia e della loro estemporaneità rendendo universali i suoi schemi compositivi. 

Infatti, nelle composizioni pittoriche sono fissate spiagge e barche, vecchi casolari, viottoli di campagna, i mostri di Villa Palagonia, un carretto, un pupo siciliano, una casa illuminata, scorci di paese, il tutto in modo atemporale, suggerendo la realtà nell’immaterialità delle idee o delle forze che lo costituiscono. 

Le vibrazioni del “vero” appaiono più pregnanti nella tela raffigurante un “vecchio pulitore di fave”. È una raffigurazione dolente e nel contempo viva di luminosità ove il trionfo della luce non sfuma la struttura reale, ma rende all’osservatore la percezione cosmica della solitudine e la sensazione sgomenta della vita. 

Alla luce di una profonda acquisizione del mezzo tecnico, ancorché arricchita di un linguaggio artistico che diviene poesia, si può ammirare un affresco, realizzato nella Chiesa di Porticello, raffigurante Maria S. del Lume. In tale affresco, della grandezza di mt. 8,50 per 4,50, Maggiore ha sintetizzato i motivi fondamentali della iconografia della Madonna del Lume, imprimendo alla sua produzione artistica una carica di inquietudine mistica. 

Da “Spiragli”, anno VI, n.1, 1994, pag. 47.