“Date a Cesare… ” 

In cima alle Remurie, nascosta alla vista e sottratta ai rumori della città sta san Saba: la parrocchia antica che ai fedeli offre il silenzio del cortile, l’ombra del pronao, la bellezza del pavimento cosmatesco nella navata centrale e il gran Cristo che dall’abside sovrasta i devoti durante le funzioni e la luce L’illumina e il sole L’esalta ravvivandone i colori. 

In questa parrocchia vanno Davide ed Ermelinda: moglie e marito, che diversi in tutto ma uguali nella fede, stan sempre a discutere sulla teoria ma non se la prendono troppo, convinti: “Facile la Scrittura, difficile la Teologia!” Veniva la domenica e dalla sacrestia usciva il prete a celebrare. 

Recitato “Introito” e “Confesso”, letti “Lettere” e “Vangelo”, il celebrante teneva predica sul “loghion”: “Date a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio!” argomento ai giorni nostri più vivace che mai1. 

I due sposi in silenzio s’affissavano al predicatore: il marito aspettandosi d’essere liberato dall’assillo del dubbio; la moglie aspettandosi conferma alla sua credenza, Il predicatore predicava e si rabbuiava Davide che non vedeva luce brillare nella tenebra; sorrideva Ermelinda beata perché vedeva confermata la sua credenza. 

Il predicatore teneva sermone: .I messi dei Farisei volendo tentare Gesù, chiedevano: È lecito pagare il tributo a Cesare?”. Gesù rispondeva chiedendo che gli mostrassero una moneta di Cesare. I Tentatori mostrarono un denaro e Gesù chiedeva: Di chi l’immagine e l’iscrizione?”, in coro gli rispondevano: Di Cesare!” e agli uomini del Tempio lieti per aver messo in imbarazzo il Profeta, Gesù secco rispondendo aggiungeva: “Date a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio!”. Alla battuta che non ammetteva replica, gli uomini della Legge: “Torah”, si allontanavano rossi dalla vergogna e rosi dell/a rabbia della disfatta. 

Tanto diceva il predicatore c aggiungeva note, postille e chiose che nella chiesa si san Saba venivano ripetute senza variazioni ogni anno e nella stessa domenica: variavano registro e suonatore ma le note facevano la medesima armonia rassicurando la moglie ma non il marito: i due osservavano silenzio nella chiesa ma cogli sguardi si ripromettcvano battaglia in casa, sicuri che la divcrgenza non scoloriva il loro amore. 

Il “loghion” che imbarazzava i messi del Sommo Sacerdote, per duemila anni continuava a non cacciare imbarazzo nelle menti elette che su di esso a meditar ponzavano ed a contarle esse son tante e più di tante! 

Tra quanti convinti d’aver nella mente e nella bocca il significato del “loghion” anche Napoleone Bonaparte, che con le parole di Gesù giustificava la sua azione “antipapista” e “antipopolo”, Avvenne il 16 novembre 1809; si trovavano a Parigi per giurar fedeltà all’Imperatore dei Francesi, il sindaco di Rema Luigi Braschi Onesti, il vice-sindaco Luigi Boncompagni Ludovisi, gli aggiunti Gabrielli, Sforza Cesarini con altri dignitari in pompa di festevole corteo e celata abiezione. 

All’indirizzo del sindaco di Roma infiorato di leggiadri e rari topi retorici, Napoleone che quando voleva sapeva anche ben comportarsi, rispondeva benevolo: .I Romani di Roma antica siedono nel mio cuore. Quando verrò a Roma, con voi io starò nell’Urbe con il diritto di chi erede di Carlo Magno re dei 

Franchi che donava feudo alla Chiesa, seguendo l’esempio di Costantino il Grande che alla Chiesa donava la terra di Sutri. spavaldo aggiungendo: -Gesù Cristo non ritenne necessario stabilire per san Pietro una sovranità temporale; il vostro Vescovo è il capo spirituale della Chiesa, io ne sono l’Imperatore. Io rendo a Dio quel ch’è di Dio e a Cesare quel ch’è di Cesare!., sbalordendo i messi della Repubblica Romana. 

Napoleone che a suo modo volgeva a suo pro le parole di Gesù, non parlava diversamente dal Gallicano che il “loghion” aveva letto, spiegato e raccomandato all’Imperatore di tutti i Francesi. 

L’interpretazione di Napoleone in linea con l’interpretazione del “loghion” nei duemila anni trascorsi, turba chi assertore della “Filologia Sperimentale”, non per la prima volta s’imbatte in “loci” greci, in “loci” latini che sottoposti a rilettura, han mostrato altro volto in diversa prospettiva e nuovo significato. Per ragguagliare il lettore sulle interpretazioni, citiamo: 

“Pendendum est tributum Caesari” (Schleussner)2: “Das Ja zum lmperium” (Stauffer)3; “Eigen Recht des Staates” (Kittel)4; “Rabbuffo agli uomini del Tempio occupati nelle cose del mondo, non preoccupati del cielo” (Dibelius)5: “Di fronte allo Stato Romano come dominatore del Popolo 

Giudaico, Gesù ha preso un atteggiamento neutrale pur esprimendo una Sua superiore generosità verso gli esponenti dell’oppressione, per esempio il centurione di Cafarnao” (Mazzarino)6. 

La”Filologia Sperimentale” rifiutando il “principio d’autorità” non fa proprio questi commenti e riaprendo la discussione sul “loghion”, dichiara: -Cristo Signore che predicava: “Il mio regno non è di questo ordinamento”: Cristo Signore che nasceva nella grotta al canto dell’angelico: “Pace agli uomini che si ameranno!”; Cristo Signore che annunciava: “Gli uomini tutti figli del Padre celeste!”; Cristo Signore che “serviva” e non si faceva” servire” in una società di “domini” e “servi”, non poteva fare propaganda all’“Imperium” fondato sul dominio d’una classe sull’altra, non poteva dichiararsi “neutrale” al mondo preferendo il ciclo, all’odio l’amore, alla disuguaglianza l’uguaglianza, al corpo l’anima, al potere il servizio, alla legge l’amore: maniera giusta per sovvertire la società fondandola su nuovi e certi ideali: quelli predicati dal Redentore•. 

Se nel “loghion” si scopriranno presenti e predicati questi ideali, allora la “Filologia Sperimentale” dirà d’aver toccato la verità dopo aver squarciato i veli che nel tempo si sono stratificati sul “loghion” per accumuli successivi ma sempre uguali di suono e di tuono. 

Seguendo l’indirizzo della” Metodologia sperimentale” esamineremo il “loghion” studiandone i termini: “paroles”, uno per uno per arrivare al significato non d’una parte ma di tutte e due le parti del “loghion”. 

Del “loghion” abbiamo il testo greco e il testo della “Vulgata”: il testo greco recita: “Apodote un tà Kaìsaros Kàisari kaì tà tù Theù tò Theò”; il testo della “Vulgata” recita: “Reddite ergo quae sunt Caesaris, Caesari: et quae sunt Dei Deo!”. La traduzione dello Stridonense rende come meglio non si poteva il testo greco; perciò, l’esame condotto sul testo latino sarà sufficiente ad intendere anche il testo greco. 

“Reddite: Reddo”; “Re+do”: nel verbo composto, il preverbio: “re-” indicando che l’azione del verbo semplice: “do” si compie: l) “indietro” nello spazio, 2) “di nuovo” nel tempo, l’imperativo comanda di “ridare”, di “restituire”, di “rimandare” (remittere) a chi di dovere come il debitore rimanda al creditore quanto di proprietà di quest’ultimo. 

“Quae sunt Caesaris”, “Tà Kaìsaros”: Cesare, nome comune degli imperatori romani, nella fattispecie, indicava Tiberio, l’imperatore del tempo sul soglio imperiale e al quale il prefetto procuratore Ponzio Pilato mandava rapporti: “diplomata” sull’attività del Cristo nella terra e tra la gente della Palestina (7). “Quae Sunt Caesaris”, “Tà Kaìsaros”: il neutro greco come il neutro latino presentavano difficoltà agli Esegeti: questi si limitavano a vedervi solo la “moneta 

del censo”. La”Filologia Sperimentale” vi vede altro: in esso racchiusi i due segni: “signa”, propri dell’Ufficio Imperiale, l) “sigillum”: il sigillo che l’imperatore portava nell’anello per convalidare le leggi; 2) il “signum.”: il conio con l’effige: “imago” e la leggenda: “inscriptio” dell’imperatore al potere; sigillo e conio venivano frantumati alla morte dell’imperatore e per ovvie ragioni e chi le sa, non ne chiede spiegazioni8. 

“Tà tù Theù”, “Quae sunt Dei”: il neutro greco, il neutro latino venivano genericamente interpretati come le “cose di Dio” facendo strano “pendant” al neutro: “Tà Kaìsaros” e nulla più, scansando, non risolvendo il problema. 

Nel neutro: “Tà tù Theù” la “Filologia Sperimentale” vede nel caso di Dio quello che ha già visto nel caso di Cesare: quanto l’uomo deve a Dio che dal fango lo creava e lo poneva Suo figlio e Suo erede. 

Dio dell’uomo creava il corpo e gli infondeva l’anima con il Suo divino soffio; l’uomo, quindi, deve a Dio e anima e corpo inscindibilmente come insieme essi da Dio venivano creati perché l’uomo vivesse in perpetuo perché eterno il Creatore e Donatore. 

La seconda parte del “loghion” costituisce una logica conseguenza della prima parte: l’uomo potrà ridare a Dio quanto a Dio deve, solo quando avrà ridato a Cesare quanto deve a Cesare. L’uomo, dunque, ridarà a Cesare le monete, prodotto del conio imperiale; l’uomo ridarà a Cesare le leggi: prodotto del sigillo imperiale ma senza “tributo” e senza “leggi; Cesare perderà il potere e crollerà l’Impero e nella rovina dell’Impero si sfascerà la società fondata sull’ineguaglianza, presente nell’Impero Romano come nelle società di tutti i tempi9 . Lo Stato: l’ “Antikeìmenos” si svuoterà di forma e contenuto e al suo posto subentrerà la “congregazione” degli uomini tenuta insieme dal solo “Amore”, quando si avvererà l’angelico annunzio cantato sulla povera grotta di Bethlém, nella quale Dio si faceva Uomo per “riportare indietro” a nuova fioritura la “legge” dell’Amore tradita dagli uomini a lor danno e a loro rovina. 

Utopica questa nuova profetizzata società dell’Amore? Per noi uomini utopia; ma realtà per Chi la profetizzava ché essendo fuori dallo spazio e dal tempo vede le cose da Dio e davanti a Dio, se tutto é realtà, non esiste utopia. 

Davide Nardoni 

1) Matth. XXII, 21; Marc. XII, 13; Luc. XX, 25. 
2) J. Fr. Schleusner, Novum Lexicon Graeco-Latinum in Novum Testamentum, Weidmann, Lipsia, 1819, 291, s.v.: Apodidomi. 
3) Stauffer, Christus u. die Caesaren, 1952, p. 121. 
4) G. Ritte!, Christus und Imperator, 1939, pp. 12-18. 
5) Dibelius, Rom u. die Christen im I Jhdt., Sitzungbb. Heidelb. Akad., 1941, 42, 3. 
6) S. Mazzarino, L’Impero Romano, Laterza, 1973, pp. 165-168 e noto 12, p. 166. 
7) Cesare: Caesar: Kaishara: non nome romano ma punico e significa “elefante” dato come “adgomen” per il valore militare dimostrato nella battaglia di Panormo a Caio Giulio Sesto, agnonimato: “Caesar” guadagnato per la vittoria riportata contro gli elefanti punici messi in campo contro le Forze Combinate Romane agli ordini di Metello Pio. Chi dice “Caesar” derivato al Dittatore Perpetuo dal “taglio cesareo” ignora che i Romani non conoscevano tale pratica medica. 
8) Il greco: “tà Kaisaros” ellittico si integra: l) con “sphraghismata”, 2) con: “nomismata” ad indicare il sigillo ed il conio imperiali. 
9) Matth. XVII, 23-26. 
Per pagare il “tributo di capitazione” , Gesù ordinava a Pietro di pescare e nella bocca del pesce Il pescatore trovava uno “statere” con il quale pagava il tributo dovuto dal Cristo e dall’Apostolo. 
Crede bene chi nel fatto vede il pagamento del tributo: tassa dovuta ma crede anche bene chi nel fatto della pesca e dello “statere” trovato In bocca al pesce vede la restituzione allo Stato anche delle monete nascoste perché la restituzione: “apodosis” fosse completa e senza frode.

Da “Spiragli”, anno I, n.3, 1989, pagg. 8-14.

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