SE UNO SI ACCENDE D’AMORE 

Come una foglia gialla 
appena attaccata ad un ramo 
morto di un vecchio albero 
ove più non scaldi 
il sole, 
si scioglie 
come un chicco di brina 
al richiamo d’amore 

Calogero Messina

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 9.




Uomini

Schiamazzano e gridano
e poi muti scompaiono gli uomini
come dalla terra stordita
dal sole le ombre raminghe
fugate.

Calogero Messina

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 9.




Virgilio Titone  Uno degli ultimi maestri 

 Il 27 febbraio 1989 è morto Virgilio Titone, grande scrittore, storico, critico, sociologo: uomo onesto, coraggioso, generoso, schivo, veramente libero. 

Era nato a Castelvetrano (Trapani) il 15 marzo 1905. Già nei primi scritti, del 1923 o del 1924, rivelava la sua forza decisa, energica dello stile. Fra i suoi primi libri Critica vecchia e nuova (Firenze, 1932), nel quale mostrava che l’ammirazione per il De Sanctis aveva fuorviato il giudizio dei critici, non avendo quell’autore fatto se non «in moltissimi casi che della psicologia». Seguirono La poesia del Pascoli (Roma, 1933), Retorica e antiretorica nell’opera di Alfredo Oriani (Milano-Napoli, 1933), che il senatore Cian considerò uno scritto eretico, «incredibile, ma titonicamente vero»; allora difese il Titone Benedetto Croce, condannando severamente la denunzia di quel servo del regime fascista (La Critica, vol. XXXIII. 1935, p. 188). In varie circostanze il Croce espresse la sua stima per il giovane Titone e lo incoraggiò; gli scrisse manifestandogli il suo consenso, quando fu sequestrato il libro Espansione e contrazione (Trapani, 1934), con il quale Titone mostrava la contraddizione tra una politica di espansione imperialistica e la fase di contrazione che allora si attraversava. Di quegli anni è anche il volume Giovanni Boccaccio con un’appendice su ser Giovanni fiorentmo (Bologna. 1936), con cui il Titone dimostrava che il Boccaccio era nato a Certaldo, non a Parigi. 

Negli anni quaranta il nostro autore pubblicò Cultura e vita morale (Palermo, 1943), Teoretica della rivoluzione (Palermo, 1944), Il teatro di Racine (Palermo, 1945), Economia e politica nella Sicilia del Sette e Ottocento (Palermo, 1947), La Sicilia spagnola (Mazara, 1948), La politica dell’età barocca (Palermo, 1949). In La Sicilia spagnola fu sottolineato un atteggiamento troppo personale, ma per la sua originalità il libro poté screditare certe idee che per circa due secoli, a partire dall’illuminismo, si erano passivamente accettate sul rapporto Spagna-Sicilia e pertanto ebbe il merito di stimolare a una revisione e a nuove ricerche. Il nome di Virgilio Titone restava legato anche alla Spagna. per i suoi viaggi e fondamentali studi di storia e letteratura, che hanno soprattutto indicato molti elementi del carattere della sua gente, spiegandone così il comportamento, gli atteggiamenti, le relazioni, la politica. Con La Sicilia spagnola aveva inizio una nuova fase nella storiografia siciliana sulla Spagna, che continua fino ai nostri giorni, soprattutto con i contributi degli studiosi dell’Università di Palermo, nella quale il Titone fu per molti anni ordinario di storia moderna e maestro, uno degli ultimi maestri. 

Sebbene egli abbia collaborato come apprezzato elzeverista ai più autorevoli quotidiani italiani, dal Corriere della sera, nei suoi tempi migliori, al Tempo, e alle riviste più prestigiose e particolarmente al Mondo di Pannunzio e alla Nuova Antologia, molte delle sue cose più significative si trovano nelle tre riviste palermitane da lui fondate e quasi interamente scritte, La nuova critica, L’Osservatore, Quaderni reazionari. 

Degli altri libri del Titone ricordiamo: L’Italia oggi (Mazara, 1951), Politica e civiltà (Palermo, 1951), La Sicilia dalla dominazione spagnola all’unità d’Italia (Bologna, 1955), Origini della questione meridionale. Riveli e platee (Milano, 1961), Storia, mafia e costume in Sicilia (Milano, 1964), Storia e sociologia (Firenze, 1964), Il conformismo (Milano, 1966), Introduzione alla rivoluzione francese (Milano, 1966), Machado e Garda Lorca (Napoli, 1967), La storiografia dell’illuminismo in Italia (Milano, 1969), Commento al nostro tempo (Roma, 1972), libri che non poco hanno contribuito alla formazione di molti giovani di diverse generazioni. 

Negli anni 1971-72, in più edizioni, Mondadori pubblicò le Storie della vecchia Sicilia; nell’Avvertenza il nostro autore scrive che quei racconti, o come egli li chiama, le sue storie, «vogliono essere un contributo alla storia dell’isola: una testimonianza della sua anima antica e vera». E questo gli è stato riconosciuto anche dai critici: Indro Montanelli sottolineò nel libro il vigore degli squarci di vita; trovò quei racconti .scritti più con lo scalpello che con la penna» e dichiarò che «per trovare pezzi di Sicilia altrettanto densi e compatti bisogna risalire a Verga», dal quale si dovrebbe fare discendere Titone «in linea retta» (Corriere della Sera, 30 aprile 1971, p. 3). Il solito vizio di classificare e di ricondurre qualsiasi autore ad un altro autore! Da Verga Titone è lontanissimo e ciò risulta evidente proprio dal fatto che narrano entrambi la Sicilia, con uno stile del tutto diverso. L’originalità di Virgilio Titone, riconosciuta nei suoi vari scritti e di diversi periodi, emerge anche e soprattutto dalle sue Storie. 

Negli anni successivi il Titone pubblica Il pensiero politico italiano nell’età barocca (Caltanissetta-Roma, 1975), Dizionario delle idee comuni (Milano, 1976), La società siciliana sotto gli Spagnoli e le origini della questione meridionale (Palermo, 1978), Il libro e l’antilibro (Palermo, 1979), La Sicilia e la questione settentrionale (Caltanissetta-Roma, 1981), La festa del pianto (Caltanissetta-Roma, 1983), Scritti editi e inediti 1924-1945 (Palermo, 1985). Fra i temi ricorrenti ne ricordiamo almeno uno: la critica all’intellettualismo: «Un vero poeta, un vero pittore, scultore, architetto, un medico, un fisico, un biologo, un filosofo, uno storico non possono classificarsi tra gl’intellettuali. Rappresentano la cultura del loro tempo. L’intellettuale infatti è il parassita di questa cultura e lo è per due motivi essenziali, perché dal suo prestigio deriva il proprio prestigio e perché nessun avanzamento della scienza e nessuna opera di scienza o di arte può da lui farsi o pensarsi. Potrà fare il mezzo poeta, il mezzo politico, storico, economista e così via, ma nessuna di queste cose egli farà seriamente e professionalmente. Non cerca la verità, che per altro non lo interessa. Il suo solo interesse si riferisce a se stesso: al suo bisogno di apparire intelligente, originale, spregiudicato. Perciò le sue formule, le sue sistemazioni dell’universo, le sentenze definitive sugli uomini e le cose che lo circondano ci appaiono altrettanto vuote e irreali quanto aggressive» (Dizionario delle idee comuni, vol. I, pp. 233-34). 

Nel 1987 sono usciti, a Palermo, i due ultimi libri di Virgilio Titone, Vecchie e nuove storie siciliane e Le notti della Kalsa di Palermo, dei quali si è occupato fra gli altri Helmut Koenigsberger nel Supplemento letterario del Times del 18-24 dicembre 1987. Scritti del Titone sono stati tradotti in inglese e in spagnolo. 

Tema ricorrente dell’opera narrativa del Titone è la solitudine virile e la ricerca religiosa del passato, qualunque esso sia, anche triste. Alla solitudine e alla ricerca del passato si accompagna la struggente ansia del futuro: «…noi custodiamo i nostri ricordi, lettere ingiallite, lontane fotografie, mute reliquie di coloro che non sono più. Ma un giorno tutto questo sarà distrutto e qualcuno verrà a sgombrarne frettolosamente la nostra casa» (Storie della vecchia Sicilia, p. 101). 

Calogero Messina

da “Spiragli”, Anno I, n. 1, 1989, pagg. 10-12. 

 




EREMO DELLA QUISQUINA

Naufrago nella solitudine 
antica 
e guardo le stelle 
che guardano al buio i loro millenni 
e raccontano le storie umane. 
Ritrovo molti mirarle 
come io le miro 
e nel silenzio 
doloroso 
parlare con esse. 
Questa quiete mi appartiene 
e non mi sento solo. 

Calogero Messina

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 9.




 PER UNA LAPIDE 

 

«Pigliami il vestito più elegante 
ché dovrò uscire», 
chiedevi l’altro ieri 
a Pina, dopo che avevi perso 
a letto le forze; non di più. E ieri 
ti abbiamo preso il vestito più elegante 
fatto dalle tue mani 
abili e fini. 
Ma noi ti abbiamo riportato qui 
nella placida terra sotto il pizzo 
di San Calò delle Grazie, oggi col velo, 
calcata da Giordano da Santo Stefano 
che tu pregavi col tuo violino, 
e dal venerabile Fra’ Vincenzo. 
Avrai sempre la loro protezione 
e della Romita della Quisquina 
che pure invocavi con la tua musica. 
Insieme, o padre, abbiamo fatto 
da Palermo l’ultimo viaggio 
e rivisto gli stessi luoghi 
rifioriti di verzura che coglievamo 
con te e non cercheremo più senza di te. 
Di fronte hai il Calvario, 
laggiù il paese, 
nel suo centro la tua casetta 
dove sospiravi gli ultimi giorni. 
Non sei solo: ti benedicono i Santi 
e qui c’è tua madre e tuo padre, 
i tuoi fratelli, i tuoi nonni e gli zii, 
l’arciprete Abella, tua guida, gli amici 
e ritorneremo noi e la tua Erina 
fedele, che sposasti, come ieri, 
mercordì di San Giuseppe intercessore, 
il sette febbraio del quarantacinque, 
con l’altro vestito più elegante. 
A presto. Chi legge preghi per te. 

Calogero Messina 

S. Stefano Quisquina, 8 febbraio 2007

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 49.




 Helmut Koenigsberger e Virgilio Titone 

I due scritti che Helmut Koenigsberger ci ha voluto regalare e che oggi si pubblicano, A Homeric encounter e A journey to Benedetto Croce, ci riportano a tempi lontani, molto diversi da quelli attuali: sono preziosi documenti di umane relazioni molto rare, la testimonianza di un grande storico e di un grande scrittore. Hanno un significato particolare per ritrovare l’anima di Virgilio Titone: da parte mia, vi rivedo l’uomo che ho conosciuto e del quale sento la mancanza. 

Era il 1947 quando il giovane Koenigsberger venne la prima volta in Sicilia, per esplorare gli archivi per la sua tesi di dottorato: l’argomento “La Sicilia durante il regno di Filippo II”, lo stesso del suo libro, ormai classico, uscito a Londra nel 1951, The government of Sicily under Philip II of Spain. Studente all’Università di Cambridge (1937-40), era rimasto colpito da un corso sul Rinascimento italiano, come egli stesso ricorda: «Probabilmente già predisposto ad essere affascinato dal tema, giacché ero stato allevato con il culto dell’Italia, di Roma antica e del Rinascimento da mio padre (che ne subiva il fascino, come tutti i tedeschi della sua generazione, e ancor più in quanto architetto), decisi di continuare: ma in che settore? (Le confessioni di uno storico, in “Il pensiero politico”, gennaio-aprile 1990, p.93). Fu il suo professore C. W. Previté-Orton a suggerirgli la Sicilia del Cinquecento: il giovane fu attratto soprattutto dall’idea di un viaggio nella nostra isola: .Mi sembrava una bellissima regione da visitare. Ben presto mi resi conto che la storta della Sicilia nel Cinquecento era tanto spagnuola che italiana». 

Dai primi giorni della sua permanenza a Palermo, lo studente di Cambridge cominciò a frequentare Virgilio Titone, che conosceva di fama: gli aveva inviato un suo articolo sulla rivolta palermitana del 1647 (The revolt of Palermo in 1647, pubblicato in “The Cambridge Historical Journal”, III, 3, 1946) e il professore tanto esigente vi aveva apprezzato soprattutto la conoscenza delle fonti, non nascosta al giovane la sua convinzione che anche a lui fosse sfuggito il vero carattere di quei moti: era abituato a dire quello che pensava. Né poteva accettare certi suoi giudizi, come ebbe a scrivere nella recensione che pubblicò nella “Nuova critica” (II, 1) e ripubblicò nel libro La Sicilia spagnuola (Mazara 1948, pp.145-153): dopo avere ricordato gli studiosi di quella rivolta, mostrandone l’inadeguatezza dei giudizi. e proposta la sua interpretazione di quei moti. Titone così concludeva:
Questi gli avvenimenti cui il Koenigsberger si riferisce. E la sua ne è una analisi acuta e bene informata, che non solo tiene conto di tutte le fonti finora conosciute e dei risultati degli studi più recenti. ma aggiunge ancora a qualche testimonianza ignorata dai nostri studiosi, come le lettere del cardinale Mazarino, considerazioni degne di rilievo: e ciò sebbene debba osservarsi che il vero carattere di quei moti gli sfugga, come è sfuggito ai precedenti studiosi. E si potrebbe anche notare che chi sappia quanta parte le maestranze ebbero nel governo delle nostre città, e più nel fatto che nel diritto, non potrebbe accettare giudizi come questo: “The mass of the people, as artisans in the whorks… , were without political rights”. Spesso invece ne avevano più del necessario». 

Ricordiamo che nell’appendice III della stessa Sicilia spagnuola, riportando il testo delle Istruzioni al vicerè Maqueda, Titone così ringraziò il giovane studioso (p. 221): «Debbo qui ringraziare il sig. H. Koenigsberger, che gentilmente ha trascritto per me a Simancas questo documento». 

A Palermo Koenigsberger sperimentava la generosità, l’umanità di Virgilio Titone: ne possono parlare tutti coloro che lo conobbero: la testimonianza di Koenigsberger : «Titone era stato molto generoso riguardo ai miei sforzi di studente. A Palermo si occupava di me, indicandomi libri e manoscritti e aiutandomi anche a trovare un posto poco caro e sicuro dove vivere nella Palermo postbellica» (A journey to Benedetto Croce; mi si perdoni la traduzione: potrà servire a chi meno di me ha dimestichezza con l’inglese). Chi ha conosciuto Virgilio Titone sa quanto fosse difficile familiarizzare con lui, ma quei pochi che vi riuscivano avevano tanto da lui, molto più di quello che possono dare le relazioni di parecchi individui messi insieme. 

Titone dovette vedere che in molte cose Koenigsberger gli rassomigliava. Chi fosse quel giovane straniero risulta evidente dai due scritti che si pubblicano; leggendo A Homeric encounter, ho ripensato a quello che il mio maestro mi raccontava. di quando scendeva le balze del monte Pellegrino, per andarsi a bagnare nel mare azzurrissimo, ora in tanti tratti precluso, per il gran numero di ville abusive a strapiombo sulla spiaggia: se ne rammaricava quando attraversavamo la strada per andare a Mondello. Anche lo studente di Cambridge era affascinato dal mare e dal cielo della nostra Sicilia; aveva la stessa carica di un giovane meridionale, desideroso di vivere, di scoprire, di amare, incurante dei pericoli. Ma prima il dovere. Passava le sue giornate in una stanza buia, umida, come sempre, dell’Archivio di Stato di Palermo, utilizzando al massimo il suo tempo: lo tentava l’aria soleggiata delle splendide giornate di novembre, alle quali siamo abituati noi siciliani e che non conoscono in Inghilterra. Ma doveva trovare una giustificazione per uscire da quell’Archivio. Non gli era difficile trovarla: «Mi giustificavo dicendomi che dovevo ‘immedesimarmi’ del paese sul quale stavo lavorando, oltre a leggere documenti governativi del sedicesimo secolo». La stessa cosa è capitata anche a me: quando sono stato nelle fredde sale degli archivi, ho sempre sentito più forte il bisogno di uscire al sole, tuffarmi nei vicoli, nelle piazze, nei mercati, per vederli in faccia gli uomini, dei quali nelle carte generalmente si parla come entità numeriche, buone per i patiti delle statistiche. 

E uno di quei giorni, di quella che si chiama l'”estate di S. Martino”, il giovane studioso prende a piazza Verdi (alloggiava li vicino) un autobus per Monreale: un viaggio incantevole, che non ha potuto dimenticare, attraverso gli aranceti e i limoneti, che lasciavano intravedere a distanza il mare splendente. Ripensò Koenigsberger a Goethe, che venne in Sicilia nella primavera del 1787: anche dalla lettura dell’Italienische Reise era stato alimentato il suo desiderio di visitare l’Italia. Ma per lo studente di Cambridge fu una travolgente scoperta il Duomo di Monreale con i suoi mosaici: «Goethe, che cercava solo l’arte classica, non se ne interessava minimamente e nemmeno menzionò la cattedrale di Monreale quando scrisse il suo ltalienische Reise trent’anni più tardi». E sottolinea Koenigsberger come un altro viaggiatore, lo scozzese Patrick Brydone, del quale Goethe aveva letto il Tour through Sicily and Malta, fosse solo colpito dall’ “incredibile spesa” dei mosaici. Tante volte che mi sono trovato con gli spagnoli, mi ha disturbato il fatto che davanti ad un’opera d’arte, anche i più colti e studiosi di storia dell’arte, per esprimere la loro ammirazione, non trovano aggettivo più efficace di precioso, che non può non far pensare al precio (prezzo) e alla maledetta ossessione degli spagnoli per il denaro. 

Ma torniamo alla gita di Koenigsberger. Pranzò in una piccola trattoria: decise di salire ancora sulla montagna, per potere ammirare la Conca d’Oro. Ne fu dissuaso dal padrone della trattoria, che gli ricordò come tutta quella montagna fosse infestata dai banditi. Il giovane rise di quelle paure: che poteva temere uno studente straniero senza denaro? Il padrone voleva metterlo in guardia: non conosceva il paese. Ma vedendo la sua determinazione, mostrò ancora la sua sollecitudine, offrendogli una possibilità, di andare in compagnia di un suo cognato, che si doveva recare proprio da quelle parti. Non poté non pensare Koenigsberger ancora al Brydone, affidato da un principe ai banditi e da essi scortato per i sentieri della Sicilia. Finì con l’accettare, per l’insistenza. Si avviò dunque con quello sconosciuto, un suo bambino, tre muli e un cane. Ma ad un certo punto volle continuare per conto suo, per andare più in alto. Si arrampicò per la montagna “felicemente”, con la disinvoltura che si può avere quando si è ragazzi. Cominciò a fare freddo; si allungavano le ombre della montagna. Senti la tromba di un autobus, ma non vedeva la strada. Meno male che incontrò un capraro! Un capraro, che parlava francese, inglese e greco (era albanese). Invitò lo straniero smarrito a casa sua, per aspettare l’autobus per Monreale: «La sua casa era una piccola capanna, molto semplice e pulita, molto diversa dalla capanna dei contadini che avevo visto qualche settimana prima alle falde dell’Etna, dove la gente, le capre e le galline dividevano allegramente l’unica stanza abitabile. Il mio nuovo amico teneva rigorosamente gli animali fuori. Volevo del latte di capra o delle arance? Fui contento di due magnifiche arance, molto apprezzate dopo la mia gita attraverso le montagne senza bere». Quando arrivò l’ora, n capraro accompagnò lo straniero alla fermata e fece segno all’autobus di fermarsi. Koenigsberger apprezzò molto quell’ospitalità, espresse la sua gratitudine, diede al nipote del capraro n pacchetto di Chesterfield che aveva ottenuto dal consolato britannico a Palermo, al capraro n libro di Agatha Christie che leggeva quando pranzava da solo, come faceva Virgilio Titone. 

Ripensò Koenigsberger a quell’incontro: «ora capivo meglio perché Omero avesse chiamato Eumeo “n divino porcaro”. Il mio “divino capraro”, ne ero sicuro, sarebbe stato leale come Eumeo con Ulisse. Forse la famiglia veniva da Itaca?» Ma la Sicilia è stata sempre la terra dei più sconvolgenti, lancinanti contrasti. E l’incanto subito si rompe. Da quell’idillio il giovane sognatore fu scosso due giorni dopo, quando apprese che il bandito Giuliano e i suoi uomini erano scesi a Palermo e avevano rapito un medico e sparato al figlio che cercava di resistere. E ripensò all’avvertimento del padrone della trattoria di Monreale. 

Lo studioso continuava a dialogare con Virgilio Titone. 

«Magari andiamo insieme a Napoli il lunedì, per visitare il Croce»: queste parole che Titone gli rivolse in quel lontano dicembre del 1947, Koenigsberger le ricorda perfettamente, in italiano, come si può leggere all’inizio di A Journey to Benedetto Croce. Quel “magari” suonò strano al giovane straniero, che ne chiese la spiegazione al professore; mi torna all’orecchio e al cuore, quando ripenso alla mia conversazione con Virgilio Titone: era uno dei termini del suo linguaggio ed esprimeva la sua infinita discrezione, la coscienza dell’imprevedibile, della precarietà delle iniziative e di tutte le cose umane. Avevano parlato più volte di quel viaggio; Koenigsberger doveva vedere gli archivi napoletani, ma trovava soprattutto allettante dover viaggiare con Titone ed essere presentato al suo maestro, nientemeno a Benedetto Croce. 

Lo storico ricorda i particolari del viaggio: «Lunedì eravamo in treno, almeno due ore prima che partisse, per trovare posti ad angolo. Anche la seconda classe aveva soltanto sedili di legno spogli, in quegli austeri giorni postbellici, e la carrozza si riempì presto. Nelle carrozze di terza classe la gente era già seduta sulle valigie e sugli scatoloni nei corridoi. Io vivevo con una borsa di studio del governo britannico e l’ultimo pagamento non era arrivato. Ero a corto di denaro, ma ero ugualmente contento che Titone avesse insistito per la seconda classe per il viaggio di ventiquattro ore. 

Appena ci fummo seduti nei nostri sedili, uscì una lettera per me da parte di mio fratello ch’era in India, al quale avevo dato l’indirizzo del professore dal momento che non sapevo dove sarei stato a Palermo e le lettere dall’India ci mettevano circa sei settimane. Con mio grande stupore la lettera era quasi marrone e accartocciata agli angoli. “L’ho messa al forno per sterilizzarla”, spiegò Titone. “In India c’è un’epidemia di colera”. 

Dopo un po’ una ragazza venne dove eravamo seduti. “Professore, sono così contenta di averla trovata. All’Università mi hanno detto che doveva partire e lei mi aveva promesso di aiutarmi per la mia tesi”. “Sì, certamente” rispose con faccia impassibile ma con un piccolissimo accenno a me. 

“Questo è il signor Koenigsberger da Londra. Mi ha invitato in Inghilterra e adesso sto andando con lui”. Per un momento sembrò delusa, ma poi capì e ci fece un sorriso brillante. “Una ragazza affascinante, non è vero?” disse dopo che se n’era andata rassicurata del fatto che il suo professore sarebbe tornato entro la fine della settimana». 

Durante quello scomodo, freddo, interminabile viaggio, parlarono della teoria di Titone, dell’espansione e contrazione. Koenigsberger scrive di essere stato stimolato da quanto egli gli diceva, ad occuparsi del Rinascimento e del barocco, anche se non era in tutto d’accordo con lui. Arrivarono a Napoli finalmente, il martedì, un mattino freddo e buio: c’era molta miseria: «Le conseguenze della guerra, la povertà e la miseria apparivano anche più grandi che a Palermo. Una donna con un bambino stava seduta per terra, appoggiata ad un pilastro della stazione, e mendicava. “Ricatto morale” disse Titone: ma notai che le diede una banconota di taglio piuttosto alto. Mi sistemò in una casa dove conosceva la padrona, forse dai giorni in cui era studente. La vecchia donna era in cucina e stava cucinando della pasta. La stanza era pulita e poco cara e la pasta della padrona di casa, quando la servì la sera, era eccellente». 

Titone andò a trovare in un convento di Posillipo un sacerdote ch’era stato suo alunno. Anche il mio maestro mi parlava di quel viaggio e di quella visita: me ne parlava il pomeriggio dell’8 marzo 1985, a casa sua, come leggo (ora, per la prima volta) nel mio diario di quelle conversazioni; osservai che cose del genere non dovevano restare sconosciute, note solo a me o a qualche altro (alla conversazione di quel giorno era presente l’amico Nicola Di Lorenzo), che erano più importanti di tante notizie che si cercano affannosamente negli archivi. Titone mi fissò con i suoi occhi di fulmine e mi disse: «Tu, le scriverai». D’allora, mi diceva, la sua amicizia con Koenigsberger divenne saldissima. Ma sentiamo lo stesso Koenigsberger, testimone della sollecitudine del professore per il giovane sacerdote che si preparava all’abilitazione all’insegnamento: «”Fu richiamato e mandato a combattere in Russia durante la guerra. Adesso merita un po’ di aiuto” mi disse Titone più tardi. Ormai avevo capito che andava subito al cuore di un problema umano. Questo da parte sua era proprio voluto. “In Inghilterra voi avete virtù civiche ed è per questo che avete libertà politica. Noi troviamo ciò difficile, però, noi siamo più umani [anche questo è in italiano nel testo)”». 

Titone accompagnò Koenigsberger alla fermata del tram e gli promise che lo avrebbe richiamato nel pomeriggio del giorno dopo. Il giovane passò la giornata negli archivi e andando in giro per Napoli, che ora gli appariva molto più attraente di prima, piena di vita, brulicante di gente. Arrivarono le 18, lo ricorda preciso Koenigsberger, l’ora in cui Titone doveva chiamare. Ma non chiamava: passarono due, tre ore e il giovane naturalmente cominciò a preoccuparsi che fosse successo qualcosa al professore: «Il suo modo di attraversare una strada trafficata lo rendeva molto probabile. Prendeva un giornale, lo teneva decisamente davanti alla faccia e s’infilava nel traffico senza guardare né a destra né a sinistra. Lo faceva ancora all’età di ottant’anni, quando lo vidi per l’ultima volta, nel 1985. Forse in realtà era questa la maniera migliore di affrontare il traffico?» Un altro atteggiamento tipico, indimenticabile di Virgilio Titone. Non concepiva che uno non s’interessasse degli avvenimenti del mondo. Ogni giorno comprava quattro – cinque giornali. del Sud e del Nord, del mattino, del pomeriggio e della sera; ricordo quelli che leggeva più spesso: il “Giornale di Sicilia”, “L’Ora”, “La Sicilia”, il “Corriere della Sera”, “Il Tempo”, “Il Giornale” di Montanelli, “Il Giornale d’Italia”. E non voleva aspettare un solo minuto per leggerli; era tutto preso da essi, mentre camminava, mentre viaggiava, mentre mangiava: quando mangiava, mi diceva, leggeva spesso le storie dei paesi e gli pareva di visitarli. 

Nessuno poteva immaginare fin dove arrivasse l’imprevedibilità di Virgilio Titone: non amò mai ndeterminato, l’immutabile. Lo studente di Cambridge a Napoli cominciò a sapere anche questo, si spiegò quel “magari”: «Si fece vedere la mattina seguente. Era stato troppo stanco e c’era stato troppo freddo per avventurarsi fuori di nuovo, ma sarebbe certamente venuto la sera e avremmo cenato insieme e poi saremmo andati a far visita a Croce, che riceveva visite la sera. Alle 18 non c’era traccia di lui e due ore dopo rinunciai ad aspettare e andai al cinema, all’ultimo spettacolo. 

«La mattina dopo si fece vedere di nuovo. Nessuno al convento aveva avuto n tempo di accompagnarlo al capolinea del tram ed era troppo pericoloso andare da soli per la strada buia e solitaria. “Ci sono banditi”. Ma si sarebbe rifatto. Saremmo andati a Sorrento e dopo, la sera, da Croce». 

Andarono a Sorrento; era una giornata piovosa, ma fra le nuvole ogni tanto faceva capolino n sole. dietro di esse appariva e spariva il Vesuvio; il mare era in tempesta. Spettacolo particolarmente suggestivo per il giovane Koenigsberger. singolare sfondo alla gita dei due. ma Titone non se ne mostrava soddisfatto: «Titone mugugnò: “Un panorama classico con un tempo romantico! Tutto sbagliato!”. In effetti, penso che lo apprezzasse quanto me, anche se, come sapevo. avrebbe voluto mostrarmi la Baia di Napoli con un tempo classicamente sereno». 

A Sorrento pranzarono e bevvero vino in abbondanza, e camminarono per ore lungo le scogliere, fino a sera. Arrivarono tardi a Napoli. troppo tardi e troppo stanchi per andare a far visita a Croce. Lo avrebbero visitato sicuramente n giorno dopo! Ma la mattina del giorno dopo, era ormai venerdì, Titone disse che non era il caso di andare allora da Croce, dato che aveva saputo che non aveva ancora letto lo scritto che gli aveva mandato qualche settimana prima: non voleva sembrare insistente; aggiunse che doveva tornare a Palermo e avrebbe preso n treno della sera, ma che lui sarebbe potuto restare a Napoli e andare solo da Croce, ché “il grande vecchio era sempre contento d’incontrare giovani studiosi. Ma Koenigsberger decise di tornare a Palenno con Titone: era molto soddisfatto della sua prima visita a Napoli, così com’era avvenuta. 

Titone appariva a Koenigsberger un po’ mortificato per la mancata visita a Croce. Ad una fermata del treno sali un individuo, che attaccò subito discorso con i due viaggiatori, informandoli che aveva inventato un metodo per imparare qualsiasi lingua, anche quelle che ancora non erano state decifrate, anche l’etrusco. Titone lo stuzzicava. Scendendo alla stazione successiva, l’individuo annunziò anche che stava pubblicando un libro dal titolo Ho parlato con Marte. Koenigsberger scrive che di questo libro non ha trovato traccia in nessuna biblioteca. Arrivarono a Palermo il sabato pomeriggio: trovarono barricate in alcune strade: le macchine della polizia correvano veloci e rumorose. «Ripensando alla visita a Napoli, era stata molto serena» conclude Koenigsberger. 

Alla distanza di tanti anni, Koenigsberger ha scritto di Titone anche nelle sue Confessioni di uno storico (“Il pensiero politico” cit., pp. 97-98): «In Sicilia, durante quella prima visita, incontrai Virgilio Titone, grandissima personalità, allievo di Benedetto Croce, vecchio liberale ed antifascista, che era da poco divenuto professore di Storia all’Università di Palermo. Siamo rimasti amici fino alla sua morte, avvenuta pochi mesi fa, all’età di ottantaquattro anni. Era un uomo singolare, “an eccentric”, come si dice in Inghilterra, e tuttavia eccellentissimo storico, uomo di lettere e giornalista, autore di più di venti libri, fra i quali storie siciliane nella tradizione di Verga, ed una novella picaresca, Le notti della Kalsa di Palermo (Palermo, Herbita Editrice, 1987), che a me pare superiore a quelle del più celebrato Sciascia». 

Di Sciascia Titone non ebbe una buona opinione; leggeva i suoi libretti – perché amava documentarsi – e li trovava insignificanti, mentre venivano accolti con giudizi straordinariamente entusiastici da tanta critica. Ma Titone era abituato ad andare contro corrente. Per lui Sciascia era rimasto un maestro elementare, men che mediocre; era un esibizionista, e Titone non concepiva la teatralità o gli atteggiamenti femminei in un uomo, tanto meno in uno scrittore. Nei libretti di Sciascia vedeva il bisogno dell’autore di apparire intelligente, originale, brillante, la volgarità appunto dell’esibizionismo (si legga l’articolo del Titone Su alcuni indirizzi della letteratura italiana contemporanea, in “Nuova Antologia”, marzo 1976). Io ero d’accordo col mio maestro; molte circostanze hanno contribuito a fare considerare Sciascia quello scrittore che non è stato. Non è il caso che qui mi soffermi sull’argomento; per altro me ne sono occupato una quindicina di anni fa. Anche Guglielmo Lo Curzio, un autore pur tanto influenzato dalle mode e dalle opinioni correnti, in un suo libro, introvabile, Scrittori siciliani (Palermo 1989, pp.260-64), si chiede il perché della “favolosa celebrità” di Sciascia e si sofferma sul carattere saggistico della sua opera e sull’impegno dell’autore; considera Le parrocchie di Regalpetra e Il giorno della civetta le sue “due opere di assoluto rilievo” e “fuori da idolatrici abbagli di critici e comuni lettori”, pensa che “si possa riconoscere che lungo una trentina d’anni la fama di Sciascia narratore viva ‘di rendita’ ” su di esse. Effimere fondamenta! Potrà rendersene conto chiunque si provi a leggere quelle opere con un po’ di libertà dai condizionamenti della moda, della critica e della propaganda, oggi purtroppo, quasi sempre, una sola cosa; né si dimentichi il tipo di cultura e di politica editoriale degli anni in cui Sciascia pubblicava le prime sue opere. 

Varie volte Koenigsberger ha scritto su Titone: sul suo Il libro e l’antilibro (Palermo 1979), che considera «una magnifica interpretazione della storia culturale dai Greci ai nostri giorni» (Le confessioni cit., p. 981, e anche prima sullo stesso libro e su La Sicilia e la questione settentrionale (Caltanissetta-Roma 1981), in “European History Quarterly”, vol.15 [1985] (ricordò fra l’altro le difficoltà di Titone nel periodo fascista, quando fu sequestrato il suo libro Espansione e contrazione: la condanna fu il silenzio in cui il regime lasciò l’autore); sulle Vecchie e nuove storie siciliane e sulle Notti della Kalsa di

Palermo (Palermo 1987), nel prestigioso Supplemento letterario del “Times” del 18-24 dicembre 1987, dove sottolineò il verismo «fatto della persuasa malinconia di uno scrittore, che comprende le ragioni storiche per le quali le caratteristiche attitudini dei siciliani derivano da un’opprimente realtà a loro superiore […] fatto di simpatia e di comprensione della condizione umana- e l’assenza dei falsi sentimentalismi anche oggi di moda, più di quanto non si voglia far credere (rimando al mio articolo apparso nel “Giornale di Sicilia” del 22 gennaio 1988 e nell”‘Amico del Popolo” del 7 febbraio 1988). 

Koenigsberger parte dai presupposti che lo sviluppo politico e istituzionale di un paese europeo va visto sempre nel contesto europeo e che la storia culturale non si può separare dal contesto sociale e politico; a forgiare queste sue idee, non poco contribuirono i suoi viaggi in Spagna e in Sicilia, come egli stesso dichiara (Le confessioni cit., p. 93). Studiando la storta di Sicilia, meditò sull’orgoglio dei siciliani per il loro Parlamento, da essi ritenuto il più antico d’Europa. Koenigsberger, è noto, alla storta dei parlamenti ha dedicato studi fondamentali; dal 1955 al 1975 è stato segretario generale e dal 1980 Presidente dell”’International Commission for the History of Parliaments and Representative Institutions”. 

Molti i punti in comune nelle esperienze e negli interessi di Koenigsberger e Titone, di convergenza nelle loro idee, ma vi sono anche, ovviamente, le opinioni diverse. 

Koenigsberger iniziò la sua carriera accademica insegnando Storia economica nelle università di Belfast e di Manchester: a quegli anni risale il suo studio sull’evoluzione della proprietà nel Quattro e Cinquecento, in Piemonte e nell’Hainaut. Insegnò Storia moderna nell’Università di Nottingham, poi nell’Università Cornell; dal 1973 al 1984 nel King’s College di Londra; nel 1984 fu chiamato come “stipendiato” all’Historisches Kolleg di Monaco. Numerosi i corsi da lui tenuti in varie università americane. Uno storico di fama internazionale: non occorre che qui mi soffermi a ricordare le sue opere, dovunque note, tradotte in diverse lingue, anche in italiano; nel 1966 cominciò a pubblicare con l’Elliott gli esemplari Cambridge Studies in Early Modern European History; notevole anche la sua collaborazione alla New Cambridge Modem History. 

L’altro grande interesse di Koenigsberger è stato sempre rivolto alla storia culturale, nel senso più comprensivo: non trascura, per esempio, la musica, generalmente ignorata dagli storici italiani; lo dimostrano i suoi originali studi sul Rinascimento. Koenigsberger ha sostenuto l’interessante teoria dell’avvicendamento culturale, per cui non si deve parlare di una decadenza del genio italiano alla fine del Rinascimento, ma di uno spostamento di interesse delle forze creative dalle arti figurative, letteratura e filosofia politica, alle scienze naturali e alla musica. Lo storico basa la sua teoria su due sue ipotesi di fondo: l’uguaglianza biologica dei talenti in tutti i gruppi etnici e il legame psicologico tra individui e società. Si rivela un profondo conoscitore dell’uomo, studioso della mentalità. 

Virgilio Titone cominciò giovanissimo a scrivere saggi su diversi autori della nostra letteratura, contrastando le opinioni più diffuse; ebbe l’approvazione del Croce. Nel 1934 pubblicò Espansione e contrazione, in cui esponeva la sua teoria sulla storia: l’alternarsi dei periodi di espansione e contrazione, in tutti gli aspetti 

della vita. Seguirono diversi altri libri, fra i quali ricordiamo Cultura e vita morale (Palenno 1943); La Sicilia spagnuola (Mazara 1948). che stimolò la nuova ricerca sul rapporto Spagna-Sicilia; La politica dell’età barocca (Palermo 1949); La Sicilia dalla dominazione spagnola all’unità d’Italia (Bologna 1955); Storia, mafia e costume in Sicilia (Milano 1964); Storia e sociologia (Firenze 1964); nconformismo (Milano 1966); La storiografia dell’illuminismo in Italia (Milano 1969). 

Per molti anni insegnò Storia moderna all’Università di Palermo. Fu apprezzato elzevirista dei più autorevoli quotidiani italiani, dal “Corriere della sera” al “Tempo”, e collaborò alle riviste più prestigiose, dal “Mondo” di Pannunzio alla “Nuova Antologia”; fondò e diresse tre riviste palermitane: “La nuova critica”, “L’Osservatore”, “Quaderni reazionari”, quasi interamente scritte da lui. Degli ultimi suoi libri ricordiamo: Dizionario delle idee comuni (Milano 1976), Il libro e l’antilibro (Palermo 1979), La festa del pianto (Caltanissetta-Roma 1983). Scritti di Titone sono stati tradotti in inglese e spagnolo. 

Anche Virgilio Titone rivolse il suo interesse all’economia (è del 1947 Economia e politica nella Sicilia del Sette e Ottocento, del 1961 Origini della questione meridionale. Riveli e platee). La storia per Titone non è solo l’avvenimento, ma l’immagine di un popolo in tutti gli aspetti della vita. Ogni generazione eredita la sua storia da quelle che l’hanno preceduta; accanto a questa eredità storica ce n’è un’altra: «un’eredità biologica, che, se non può negarsi per i singoli individui, per lo stesso motivo non è possibile negare per i popoli. Se ci sembra evidente ammettere che i figli ereditino in tutto o in parte il carattere, le attitudini, l’aspetto o la costituzione fisica dei genitori o di un avo anche lontano, non si vede perché questa stessa ereditarietà fisica e morale a un tempo, del resto scientificamente dimostrata, debba negarsi per quell’insieme di individui, comunque politicamente organizzato, che è un popolo» (Dizionario delle idee comuni, vol. II, p.124). Fra i temi più ricorrenti nell’opera di Titone la critica all’intellettualismo di moda. 

Le Storie della vecchia Sicilia (pubblicate da Mondadori in più edizioni negli anni 1971-72; ripubblicate con altre “nuove storie” da Herbita nel 1987; tradotte anche in spagnolo, Editorial Fundamentos di Madrid, 1989) hanno rivelato a molti le capacità dello scrittore Virgilio Titone, narratore credibile e veridico della sua Sicilia, la sua solitudine virile e la ricerca religiosa del passato. Il vero storico è un vero scrittore. Storici, critici e scrittori sia Koenigsberger che Titone. 

Più che dai libri ho cominciato a conoscere Helmut Koenigsberger dalla frequente conversazione che ho avuto il privilegio di avere, per anni, con Virgilio Titone. Di lui mi parlava sempre più negli ultimi tempi. Nell’autunno del 1988 mi mostrava sue lettere di più di quarant’anni fa, che andava ritrovando. Era molto contento per la presentazione che doveva fare all’edizione italiana del libro di Koenigsberger sulla Sicilia, che sembrava finalmente imminente, e per l’introduzione che dovevo fare io, su segnalazione dello stesso Koenigsberger. E ancora il 7 gennaio 1989, col solito entusiasmo che lo rendeva incredibilmente giovane, mi mostrò un nuovo libro, in tedesco, che Koenigsberger gli aveva mandato con dedica e una cartolina di auguri. Di Helli e della sua moglie Dorothy mi parlava come dei suoi più grandi, pochi amici; mi parlava dell’umanità di Koenigsberger, della sua cultura, dei suoi libri: “Ha la capacità” mi diceva “di dire tutto in poche parole”. Me ne parlò fino all’ultima volta che l’andai a trovare, nella casa di via Giusti. Nella sua prediletta solitudine, sentiva il calore dell’amicizia di Helli e Dorothy, voleva che anch’io divenissi amico con loro e l’amicizia continuasse dopo la sua morte, che sentiva imminente. 

Fra le carte che scrisse negli ultimi suoi giorni, ho trovato la presentazione per l’edizione italiana di The government of Sicily under Philip II of Spain. La intitolò Ricordo di un vecchio amico e sottolineò la “straordinaria estensione” degli interessi di Koenigsberger a tutti gli aspetti della storia, da quelli economici alle manifestazioni artistiche e alla componente estetica, sessuale, morale dei giudizi. e la sua “capacità di comprendere, talvolta in poche righe, lo spirito, l’anima, il carattere proprio di un’istituzione o di un costume, di poeti, principi, governanti, avventurieri”. 

Helmut Koenigsberger e la gentilissima Dorothy, anche lei sensibile studiosa del Rinascimento e del barocco (in particolare della storia dell’arte), amavano ritornare a rivedere Virgilio Titone in Sicilia. Koenigsberger poteva confrontare la Palermo che conobbe negli anni Quaranta, con la nuova, deturpata dalla selvaggia edilizia. 

Non potrò mai dimenticare quel marzo del 1985 in cui doveva venire lo storico. Col professore Titone pensammo insieme cosa si dovesse scrivere nel biglietto d’invito alla conferenza che Koenigsberger doveva tenere alla Storia Patria, organizzata dallo stesso Titone. Mi diceva il professore che se il tempo fosse stato buono, avrebbe portato l’illustre ospite e la moglie alla Triscina; voleva che vi andassi pure io. Si preoccupava che tutto fosse preparato a puntino e insieme telefonavamo continuamente. 

Arrivò quel lunedì 25 marzo. Con la mia macchina giungemmo all’hotel Politeama, con mezz’ora di anticipo rispetto all’appuntamento con Koenigsberger. Aspettammo in via Amari, ovviamente, parlando, come sempre: degli Ebrei, popolo di grande genio; della conferenza (Titone m’informò di quello che avrebbe detto nella presentazione). Il professore diede uno sguardo all’edificio del Politeama: non gli piaceva lo stile; chiedeva il mio parere. Arrivò l’ora stabilita; girammo intorno al teatro, scese il professore per andare a chiamare Koenigsberger. C’incontrammo con gl’illustri ospiti, ai quali mi presentò il professore; ci mettemmo in macchina e ci avviammo alla Storia Patria. 

Era un marzo molto freddo; pareva che la primavera non volesse tornare. Il professore diceva che la Sicilia senza sole non è Sicilia; chiedeva a Helli e a Dorothy se volevano andare a Selinunte il giorno dopo: avrebbe dato loro le chiavi di due sue ville della 1ìiscina e avrebbero potuto sceglierne una; vi avrebbero trovato del vino, il miglior vino d’Europa: solo di questa sua produzione, aggiunse, era orgoglioso. Helli e Dorothy si mostravano grati di tanta affabilità e promettevano che avrebbero bevuto sicuramente quel vino. TItone parlava delle ricchezze dell’Italia, del reddito pro capite degli italiani, fra i più alti del mondo, secondo le ultime statistiche. Volle parlare di me, dei miei versi in greco, dei miei lunghi viaggi, e parlammo di diverse nazioni, dalla Spagna ai Paesi del Nord, alla Grecia. Koenigsberger diceva di aver visto quella mattina due scioperi a Palermo, uno al Comune, l’altro al Palazzo dei Normanni; Titone parlò del primato italiano degli scioperi; io ricordavo quello che i greci dicevano quando vedevano un italiano: ò’m:p’)ia (sciopero). 

Arrivammo a piazza San Domenico. Ebbe inizio la conferenza. Prese la parola il professore per la presentazione ufficiale. Esordì ricordando la difficile giovinezza di Koenigsberger: «Helmut Koenigsberger, nato a Berlino, a sedici anni, nel 1934, è costretto a fuggire per non finire nei campi di sterminio nazisti. 

In quegli anni si era rifugiato in America Alberto Einstein, con due altri ebrei, Marx e Freud, uno dei fondatori del pensiero o della scienza moderna, anche se talvolta quest’ultima degeneri, non però nel grande fisico, in una creduta o falsa scienza. Ma ad Einstein dovremmo aggiungere molti dei più illustri rappresentanti della cultura contemporanea, né soltanto tedeschi o, piuttosto, nati in Germania. Nessun popolo è stato in ogni tempo tanto oppresso e perseguitato. Pochi popoli hanno tanto contribuito al progresso umano in ogni campo». 

Ricordò le tappe salienti dell’attività di Koenigsberger, le sue opere, e si soffermò in particolare su quella sulla Sicilia: «Non ho ancora parlato dell’opera sua che come siciliani più da vicino c’interessa. Il governo della Sicilia sotto Filippo II di Spagna, pubblicata a Londra nel 1951, tradotta in spagnolo nel ’75. purtroppo non ancora tradotta in italiano. E non fa certo onore alla nostra cultura che un libro sulla Sicilia sia stato tradotto in Ispagna e non ancora in Sicilia. Di questa traduzione con l’editrice Sellerio si è occupato il prof. Giuffrida. Me ne sono occupato anch’io. Ciò nonostante la traduzione ancora non l’abbiamo, sebbene quel libro resti il solo che, tra l’altro, tratti compiutamente dei rapporti tra la Sicilia e l’impero spagnolo e delle teorie che li hanno ispirati o regolati». 

Continuando a scandire le parole con la sua energica, incisiva, inconfondibile voce, così concluse: «Ma più che per tante sue opere egregie e famose ricorderò il Koenigsberger per un episodio, che forse egli ha dimenticato e che si può considerare come un documento della sua anima. Le opere degli studiosi muoiono. “Che fama avrai tu più”, ripeterò con Dante…… pria che passin mill’anni?”. L’anima non muore. Una sera di molti anni fa ci trovavamo a Napoli per le nostre ricerche. Stavamo nello stesso albergo. Mi aveva chiesto di esser presentato a Benedetto Croce. Gli dissi che gliel’avrei presentato. Ma prima dovevo fare una visita a un gentilissimo sacerdote, che si era laureato con me e dirigeva a Posillipo una comunità religiosa con una scuola e un convitto di orfani. Mi aveva scritto e sapeva che in quei giorni dovevo andare a Napoli. Posillipo non era stato ancora coperto dai casermoni costruiti nell’ultimo ventennio e la villa del mio amico era in aperta campagna. Non riuscii facilmente a trovare la stradetta campestre che dovevo fare. Perciò perdetti più tempo di quello che avevo previsto. Era già sera. In quei luoghi e a quell’ora Napoli, per chi va solo, non era meno pericolosa di quello che è oggi. È nella tradizione, una tradizione plurisecolare. Koenigsberger si preoccupò del ritardo. A mezza strada del ritorno lo vidi che mi era venuto incontro. Dopo tanti anni trascorsi lo rivedo e lo rivedrò sempre in quella sera, in quella stradetta buia di Napoli». 

Titone fu a lungo applaudito; molti rimasero sorpresi della sua riapparizione e della sua forza: da tempo non si faceva vedere alla Storia Patria. Ringraziò Koenigsberger, ricordò i suoi amici siciliani, in particolare Carlo Alberto Garufi, per il quale ebbe parole sentite di apprezzamento, e soprattutto Virgilio Titone. Iniziò dunque il suo discorso sui Parlamenti italiani nell’età moderna, con la sua competenza indiscussa; parlò per quasi un’ora. Dopo concesse un’intervista ad un inviato del “Giornale di Sicilia”; nel mentre mi congratulavo col mio maestro, ci sedemmo vicini: era contento, mi fece vedere un elegante, monumentale libro sul barocco, regalatogli dall’autrice, la signora Dorothy, e mi fece leggere la sua dedica. 

Quella sera Dorothy, Helmut Koenigsberger, il professore Titone e io, andammo a cenare insieme, al Charleston. Ci avviammo verso il piazzale Ungheria con la mia macchina bianca, sotto la pioggia (si appannavano i vetri, non ci si vedeva), parlando di tante cose. 

La conversazione continuò a tavola. Ad un certo punto Titone chiese a Koenigsberger se ricordava quell’episodio di Napoli; Koenigsberger non solo lo ricordava, ma aggiunse qualche particolare. «Vedi!» mi disse il mio maestro. Capivo perché, tanto schivo e solitario, amasse stare in compagnia di Dorothy e di Helli. Accompagnandolo a casa, gli mostravo il mio compiacimento nel constatare ch’era stato per cinque ore ininterrotte sul campo, senza dare segni di stanchezza. “E ho ottant’anni!” mi disse quella sera, prima che scendesse davanti al suo portone. 

Calogero Messina 

Da “Spiragli”, anno IV, n.2, 1992, pagg. 25-39.