La Chiesa della Madonna dell’Alto di Marsala 

Fu padre Nicolò Palazzotto, dei conventuali, a fare edificare la Chiesa della Madonna dell’Alto in un luogo distante tre miglia dalla città di Marsala, come si legge in un atto del notaio M. Antonio Zizzo del 22 maggio 10 indiz. 1537: «Motus et reductus ac inspiratus Spiritu Sancto. decrevit Domino concedente, extra civitatem relicto conventu, in eremo habitare et commorari». A questa chiesa i coniugi Grignano donarono delle terre incolte con alcune latomie e grotte contigue, in contrada Colombaio. 

I padri conventuali abitarono in questo luogo di solitudine fino all’anno 1609, quando l’abbandonarono, come è riportato dal Pirri: «Sanctae Mariae de Alto duo milia passuum ab urbe, incoeptum 1535 et perfectum 1537 divitiis loannis Grignano nobilis Marsalensis anno 1609 pro derelicto habuerunt Fratres isti, et cum proventibus eius in illud Sancti Francisci commigrarunt. » 

Nel maggio del 1787 la chiesa fu rifatta sotto il guardiano M.o Gaspare Artale, ed ivi i padri vi ripristinarono il soggiorno nei mesi estivi, conducendovi i giovani chierici dedicati allo studio. Quando tutti i beni ecclesiastici passarono allo Stato, questa chiesa divenne bene demaniale e più tardi passò nelle mani dei privati. 

Da qui il processo di degrado che gradualmente trasformerà la Chiesa della Madonna dell’Alto in un rudere adibito ad ovile. Certamente difficile immaginare l’antico splendore di questa costruzione originaria. quali lo splendido arco a sesto acuto decorato con motivi platereschi tipici dell’architettura siciliana del ‘500. 

La cupola ancora esistente e la copertura della navata a volte estradossata sono, invece. chiari richiami al gusto arabo-normanno. Inimmaginabile il resto della costruzione, completamente crollato, forse il convento adiacente alla Chiesa. 

La Chiesa della Madonna dell’Alto costituisce un tipico esempio dell’incuria degli uomini poco sensibili al recupero del proprio passato e di tutto ciò che è a questo annesso. Rispettare, conservare, impedire il degrado urbano e ambientale è sintomo di cultura, e una città ricca di storia come Marsala non può ignorare il proprio passato, se vuole continuare a crescere e a migliorarsi. 

Ciò per evitare che la nostra memoria storica venga cancellata, e che diventi un semplice ricordo legato alle vecchie fotografie in bianco e nero, destinate a sbiadirsi con il tempo. 

Da sempre terra ricchissima di opere d’arte e di tradizioni lasciate in eredità dai popoli succedutesi al suo dominio, la Sicilia conosce oggi un momento particolarmente propizio per la conservazione e la rivalutazione del suo territorio: Marsala, certamente, con le sue bellezze storico-ambientali, può costituire, se opportunamente rivalutata, una componente fontamentale del processo di ‘ricostruzione’ del patrimonio storico-artistico siciliano. 

Già molto è stato fatto in questo senso negli ultimi anni con accurate operazioni di restauro che hanno fatto rinascere edifici monumentali quali il complesso del Convento del Carmine, la Chiesa della Madonna della Cava, l’Oratorio di S. Pietro, ora annessavi la biblioteca comunale, e così di seguito: luoghi che, un tempo dimenticati, sono divenuti sede di interessanti iniziative culturali, quali mostre e dibattiti, che non solo hanno accresciuto il livello culturale dei cittadini, ma anche la loro coscienza civica. 

Essere orgogliosi di appartenere ad una città significa, anche, potere espletare in essa tutte quelle attività culturali che, in mancanza di opportune sedi, sarebbe difficile realizzare e Marsala possiede certamente un patrimonio storico-culturale che, se pur in parte rivalutato, necessita ancora di maggiore attenzione per essere completamente riportato all’antico splendore. 

Esistono, nel centro storico di Marsala, delle chiese che sono state dimenticate, come la Chiesa dell’Itriella, tipico esempio dell’architettura quattro-cinquecentesca in Sicilia. Oppure la Chiesa di S. Maria della Grotta che. da molti anni in restauro, attende ancora di riacquistare la sua notevole importanza storica, che rivaluterebbe anche un luogo della città da tutti abbandonato. E si potrebbe andare avanti così, in un interminabile elenco di beni architettonici, che attendono di essere restaurati prima che il tempo ne cancelli ogni traccia. 

Ci si auspica che, nel futuro, ci sia una maggiore attenzione al recupero dei beni culturali e che tutto quello che sinora è stato fatto non rimanga un fenomeno isolato di un’amministrazione comunale che si è mostrata sensibile alla salvaguardia della propria memoria storica. 

Eleonora Romano

Da “Spiragli”, anno IX, n.1, 1997, pagg. 37-39.

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