Nello Sàito, Gli avventurosi siciliani, Matelica (Mc), Hacca ed., 2010.

Per la Sicilia col cuore e con la mente 

Nello Sàito (di origine siciliana, nato e morto a Roma, 1920-2006) è tra noi, e la sua presenza si vede e si tocca con mano, forse più di quando era vivo, perché lui, da uomo libero, per dire ciò che pensava senza condizioni, non era ben accetto e i suoi scritti erano rifiutati. Egli è presente e continua ad operare e a guardare le cose del mondo e della Sicilia e per essa agire col cuore e con la mente attraverso le sue opere che stanno vivendo un’assolata stagione. Già era stato ripubblicato, qualche mese dopo la sua morte, nel 2006 (il nostro rammarico fu che non poté vederlo nella nuova veste editoriale), Il pinocchio studioso, ed ora è la volta del suo secondo romanzo, Gli avventurosi siciliani, per i tipi di Hacca ed., che evidenzia ancora il Sàito estroso e anticonformista nella vita come nell’arte. 

Questo romanzo fu pubblicato nei “Gettoni” Einaudi, diretti da Vittorini, nel 1954, negli anni in cui il neorealismo cercava nuova linfa per rendere più incisivo l’apporto della letteratura nella società Nello Sàito va oltre le tendenze e continua la sua ricerca iniziata con Maria e i soldati (1948) nel segno della razionalità che vede l’uomo più orientato ad affermare la sua lindura morale piuttosto che a cadere nelle maglie di un malcostume rapace. 

Gli avventurosi siciliani fu subito salutato dalla critica (G. de Robertis, N. Gallo e altri) che, pur riconoscendone i meriti, non condivise le scelte dell’autore. De Robertis parlò di uno stacco tra la prima e la seconda parte, mentre Gallo di essere incappato nella «raffigurazione, tra il simbolo e la favola, di una mentalità e di un paese». La realtà è che molti critici si trovarono spaesati dinanzi all’esuberanza del giovane Sàito. 

Strutturato com’è il romanzo, è facile giungere a siffatte conclusioni, e Sàito lo sapeva bene fin dall’inizio, dal momento in cui si prefisse di parlare della Sicilia da due angolazioni diametralmente opposte: una dall’esterno, ed è la solita retorica campanilistica di chi da lontano (l’avvocato Pennisi e l’esportatore Petralia) con nostalgia reclama la sua terra, dando sfogo al sentimento e risolvendo tutto nel mito (i discorsi che questi personaggi fanno sul treno, il dirsi e sentirsi siciliani, il loro muoversi e agire), nel parodistico e nel comico, senza avvedersene. L’altra angolazione riprende la Sicilia dall’interno. Qui non c’è posto per la retorica, tanto meno per i sentimenti che sono quasi repressi, perché tutto è abbrutito dalla misera quotidianità del vivere che non dà scampo alla povera gente costretta a vendersi più che a lavorare dignitosamente. Ed è la Sicilia del sopruso, dove i prepotenti o detengono il potere o fanno lega con quanti lo esercitano. 

Sàito ha sperimentato a spese sue questi sentimenti e ne soffre, perché sa che a niente portano i tentativi dei singoli, se non c’è la volontà di cambiare le cose. Questa intima sofferenza è nella pagina e, al di là delle apparenze, s’intravede come in filigrana, grazie ad una scrittura ben dosata e ad una presenza vigile, eppure discreta e mai invasiva. E come Silvestro in Conversazione in Sicilia, Fulvia, la protagonista, esprime il suo stato d’animo e – come scrive N. Borsellino -, cogliendo nel segno il senso del romanzo, «evidenzia il contraddittorio rapporto di attrazione e rifiuto dello stesso scrittore verso l’isola e la sua realtà ambientale». 

Il viaggio, tante volte intrapreso dal nostro autore per o dalla Sicilia (Dentro e fuori, 1970; Una voce, 2001), ha al suo centro la Sicilia con l’amore e l’odio propri di chi vorrebbe che la sua solarità non contrasti con la triste realtà della gente; quindi, un viaggio d’amore ma anche di delusione nel constatare con amarezza che dopo anni di assenza niente è cambiato nella sua terra. E quando, per bocca di Pennisi, afferma che «la Sicilia è un paese avventuroso», dice la verità perché non ha potuto essere altra, ed è stata sempre bistrattata terra di conquista (ultima quella piemontese), e non si è mai realizzata come avrebbe potuto e dovuto. La realtà è che la Sicilia è sfuggita di mano ai Siciliani (Sàito lo ribadisce) e non resta loro che darsi all’avventura. Il viaggio ne Gli avventurosi siciliani di andata e ritorno, Milano-Trapani con soste a Napoli e a Palermo, è fatto dalla giovane Fulvia insieme con Pennisi e Petralia, due casuali amici che, per attirarla a sé mettono in campo la loro estrosità evidenziando così la loro sicilianità. Ma se esso si svolge nel segno di un’esaltante euforia, l’arrivo a Trapani segna il cambio di registro che apre al drammatico e anche al tragico, quando la morte di un salinaro scatena una rivolta che fa presagire il peggio. Ed è allora che Fulvia rigetta quel mondo e progetta la fuga. 

Fulvia-Sàito getta la spugna per cadere nella sfiducia? Niente affatto, anzi sceglie la denuncia contro uno Stato latitante, perché si metta dalla parte della gente e una volta per tutte renda giustizia delle inconcludenze e dei tanti problemi ultrasecolari irrisolti. 

Salvatore Vecchio 

Da “Spiragli”, anno XXII, n.1, 2010, pagg.  54-56.

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