Per Aluysio Mendonça Sampaio 

di Caio Porfirio Carneiro 

La sera dell’11 aprile scorso, la nostra amica scrittrice Maria de Lourdes Alba ci ha dato da Sào Paulo per fax la triste notizia della fine di Aluysio Mendonça Sampaio, direttore della rivista «Literatura Brasileira». 

Alla sua memoria dedichiamo questo breve profilo, allestito per noi da Caio Porfirio Carneiro, segretario dell’Unione Brasiliana Scrittori pualista, esprimendo insieme il nostro cordoglio alla signora Esther Cremaschi, che con Aluysio condivise la vita familiare e il lavoro giornalistico. E salutiamo l’amico scomparso con i suoi stessi versi, qui posti in epigrafe: un significativo haical sul senso della vita, pubblicato nella penultima pagina di «Spiragli» /2007. 

Naviga la mia nave solitudini 
nel mare senza fine 
verso orizzonti che non hanno approdi. 

A.M.S. 

L’11 aprile abbiamo perduto Aluysio Mendonça Sampaio, uno dei nomi eminenti del Sergipe, dove era nato; della Bahia, dove studiò e si laureò in giurisprudenza; di Sao Paulo, dove lavorò e mise su famiglia; del Brasile intero, per l’orma che ora lascia nel campo delle lettere, del diritto, della cultura in generale, e pure delle arti figurative. 

La mia amicizia con Aluysio veniva dagli inizi degli anni ’60, quando lui cominciò a frequentare l’U.B.E., coprendovi cariche direttive e lavorando con impegno. 

Fu uomo semplice, di-cultura vasta e convincente, dal campo giuridico al filosofico, dal sociologico allo storico, all’artistico-letterario. Fermo nelle sue idee e nei principi, pur senza fame proselitismo, aperto com’era a qualunque discussione, non assumeva arie dottorali. Amava pure gli scambi di battute allegre e le girandole aneddotiche, ma senza spirito bohémien, disciplinato com’era nei suoi doveri e nelle espressioni di vita. 

Uomo attivo e innovatore, instancabile studioso, era soprattutto un artista, nel senso ampio della parola. Faceva tutto con serietà e determinazione, con un tocco d’arte e con un pizzico di dolore sul piano creativo. Iniziò nella magistratura del lavoro nel 1957, sino alla quiescenza nel 1991, col grado di giudice togato del Tribunale regionale. Autore di alcuni saggi giuridici, fondò e diresse per dieci anni la «Rivista di diritto del lavoro» (Editora Revista dos Tribunais), in campo letterario scrisse poesie, racconti, romanzi e memoriali. Il suo libro Os anonimos meritò il prestigioso premio «Afonso Arinos» dell’ Academia Brasileira de Letras (Rio de Janeiro). La sua scrittura, accurata ed eccellente anche in chiave critica, spicca in alcuni titoli: Senhores e escravos, A escravidiio do indigena no Brasil, in materia storica; Jorge Amado, o romancista, uno degli studi più completi sul grande scrittore nazionale; Noite azul, poesia (che ebbe come editori due poeti: Clovis Moura e Wolney Milhomem). 

Merita anche attenzione la prova di Aluysio nelle arti figurative, suo hobby preferito, cui seppe dare forme in pregevoli quadri e disegni , che sono stati apprezzati in varie esposizioni. 

Andato in quiescenza dal lavoro professionale, fondò la rivista «Literatura Brasileira», in cui cercò di mettere in luce le nuove espressioni della poesia e della narrativa brasiliana, regione per regione, lavoro poco agevole e molto impegnativo che ha permesso alla rivista di imporsi sul piano nazionale. 

A questo impegno ho collaborato con amore, ed è stato un attento lavoro di indagine, rilevamento e mappatura della produzione letteraria, creativa o critica, non esclusa la ricerca di tanti lavori, per così dire, archiviati o riposti nei cassetti senza aver visto la luce. Lavori poi trasformati in due antologie corpose e di rilievo nazionale. 

Come autore e come operatore culturale, Aluysio Mendonça Sampaio fu anche valido traduttore dall’ inglese. Ricordiamo in particolare O Corvo, la sua versione del poema universale The Raven di Edgar Allan Poe, cui l’avevano motivato certe imprecisioni nelle varie traduzioni esistenti. 

Nato ad Aracaju il29 settembre 1926, fu attivo nel lavoro letterario sino alla fine. Il suo ultimo libro, Luomo col sigaro, del 2007, è una scelta di racconti che avevano superato il vaglio di critici letterari come Tristao de Athayde. 

Lascia la moglie Esther Cremaschi e quattro figli e nipoti. 

Un abbraccio, Aluysio. Tu non te ne sei andato. Sei rimasto e rimarrai con noi. 

Porfirio Caio Carneiro

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 53-54.




Emilio Guaschino

 Nel complesso dell’articolata problematica della sua arte pittorica Emilio Guaschino, lungi da ogni ingannevole mimetismo, predilige temi di marcata espressività che gli derivano dai vari personaggi di umile estrazione, gravi di pensosa tristezza e di profonda malinconia. Il tutto evidenziato dalla plasticità dei loro volti scrupolosamente delineati, con particolare rilievo delle umane passioni femle nei tratti di un sapiente pennello. 

Parlare di questo versatile artista palermitano è di una facilità estrema, avendo egli tolto, con la sua bravura, qualsiasi possibilità di dubbiosa interpretazione che non sia soltanto quella che si ha di primo acchito alla vista dei simboli di un’arte tanto più limpida quanto più larga la misura in cui accogliamo le sue proiezioni. Merito precipuo, questo, di ogni artista che si rispetti, scevro di intrigate e forzate astrazioni che travagliano chi, privo di adeguata coscienza critica, si arrovella ugualmente per scoprire l’arte e, quand’anche non ci fosse o tale non risultasse nel senso più attinente alla parola, studia di scoprirsela, d’inventarsela pur di dare una valenza ad opere che alla vera arte sono d’insulto, come spesso accaduto in tempi non molto lontani, quando, con una martellante propaganda di sostegno, a tutti i costi si è voluto indulgere a correnti artistiche che la storia non ha ancora definitivamente accettato nel novero delle belle arti. Del resto la tecnica della pittura, nel suo significato più esteso, assomma tutte le norme che regolano i comportamenti in tutti gli altri campi. Sicché più agguerrito di molteplici virtù è l’artista, più apprezzato e interessante riuscirà il suo lavoro. Più egli è povero di esperienze comportamentali e speculative, più incompleta risulterà la sua opera per non potersi avvalere del prezioso apporto di queste. 

Evidentemente il Guaschino non è condizionato da certe carenze riduttive, se la sua arte lo qualifica autore di gusti raffinati, impegnato a proporre alla nostra attenzione nuove emozioni attraverso una continua e prevalente ricerca dei valori estetici. 

La sorpresa, l’insofferenza, la pazienza, il dolore, lo sdegno della gente, particolarmente di quella del Sud, hanno trovato in Emilio Guaschino un fedele interprete delle comuni aspettative lungamente frustrate, un propugnatore di sacrosanti diritti mille e più volte rivendicati ed altrettante ignorati, un difensore dei sentimenti più puri e più gentili, filtrati attraverso la sua arte pregna di riscatto e di brucianti accuse. 

Solo chi non vuole non sa leggere sui volti rugosi del Guaschino, nelle pieghe che comprimono lo spirito di chi in esse coglie il dolore, lo smarrimento per i tanti fatti e misfatti, di chi si attarda a riflettere sul fermo e malinconioso sguardo di quanti, temprati dalla sofferenza, sono rimasti integri nei loro propositi, nella vana speranza di giorni migliori, nella composta attesa che forse non avrà mai fine o nella manifesta impazienza per il ripetersi di beffe ipocrite di un potere che ormai non lascia più bene sperare. Da qui la dignitosa disperazione delle donne irpine con evidenze pittoriche altamente espressive nelle figure di chi è provato dal dolore e dalle estenuanti fatiche, di chi ha perduto amici, parenti, i propri cari vittime della mafia, di coloro che dalle tele ci guardano sfiduciati, quasi ad accusarci d’indifferenza, d’ingratitudine, di mancanza di orgoglio, di iniziative che guariscano la piaga di una società sbandata dall’utilitarismo e dallo squilibrante progresso, entrambi forieri di desolazione e di morte. 

Se per gusto s’intende la capacità di giudicare le opere d’arte di un certo stile, che man mano si diffonde per poi divenire uniforme, in tempi determinati, tra 

particolari gruppi di individui, ciò significa che le capacità conoscitive di un’opera non hanno limite e sono relativamente indipendenti dal gusto dominante. Il che vuol dire che non tutti devono vedere in un’opera d’arte gli stessi pregi o difetti e tanto meno goderli o criticarli in ugual maniera. Ma per il Guaschino, pur nella diversità di giudizio sul suo impegno artistico, i pareri non possono essere che i più concordi possibili sulla base di un riconoscimento delle sue rilevanti possibilità espressive, grazie alla tecnica di una consumata esperienza e all’incessante scandaglio nelle profondità comportamentali dei vari personaggi. Del resto, è nella logica delle sue impressioni e ricerche letterarie, come in Pensieri vaganti, significativa raccolta di riflessioni suggeritegli dall’esperienza di artista acuto e coraggioso. 

Epperò questo caparbio palermitano dalle numerose sfaccettature socio- etico-culturali ha una nota dominante di un colore quasi oppressivo, che se da un lato gli consente di raggiungere traguardi di intimo appagamento, dall’altro lo avviluppa nel grigiore di un cupo pessimismo che ha origine dalla sua inguaribile solitudine, propria degli spiriti eletti che non tralignano mai dalle proprie origini né cessano di anelare a quelle altezze dello spirito cui costantemente tendono nel continuo travaglio che la loro arte comporta. Ma, a ben riflettere, il Guaschino non sarebbe tale senza il silenzio della sua solitudine, del suo pessimismo, del suo mondo aperto al respiro dell’amore per i propri simili, per tutto ciò che è sovrano e divino nell’eterno attuarsi di una volontà suprema, nella rassegnata accettazione di accadimenti ai quali l’artista lega spesso le qualità della propria interpretazione e quindi del proprio successo. «Ho amato, amo ed amerò fino al giorno del mio morire. Questa volontà è il frutto della mia riconosciuta solitudine», scrive il Nostro nell’opera dianzi citata. È la certezza di quanto egli di questa non possa fare a meno, a nutrimento di se stesso, a sostegno di nuove ricerche e realizzazioni artistiche, a maggior garanzia, ove ancora ve ne occorresse, della sua fin troppo comprovata serietà, presupposto di più esaltanti conquiste. Del resto senza l’amore e i suoi teneri e travolgenti impulsi, senza questa possente leva dell’universo, non ci sarebbe creatività né alcuna aspirazione né motivo di anelare a future conquiste; la nostra vita ci parrebbe men degna di essere vissuta, sarebbe un deserto. Meglio, quindi, un solitario, un sofferente di solitudine che un distaccato gaudente che nulla di buono e di bello può esprimere né alcunché di edificante potrà mai proporre. Ben vengano i Guaschino e la loro arte, con tutti i travagli che questa comporta. La vita è tutta un travaglio; quando ne è esente è piatta e ci fa perdere lo slancio di viverla intensamente.