Grazia Guttilla, Nulla accade per caso, Palermo, Ila Palma, 2010.

Il fascino dell’amore provvisorio

Nulla accade per caso è un romanzo di Grazia Guttilla che la fertile editrice Ila palma di Palermo ha da poco mandato in libreria.

L’opera più che di storia sa di diario avventuroso ed intrigante di giornate vissute in un villaggio vacanze in Messico, scelto apposta per dimenticare i fallimenti affettivi, affogando nelle avventure e nella trasgressione. Sfilano perciò pagine tra balli e sballi, aperitivi e ubriacature, escursioni e lunghe nuotate, appuntamenti per cicaleggio da spiaggia e, ovviamente, concessioni al sesso provvisorio che l’attrattiva del luogo e la predisposizione psicologica della donna delusa e inquieta consentono. Difatti la protagonista è una Lisa, donna più che trentenne, fisicamente in forma e assai piacente, con appresso una figlia già in grado di prestarle all’occasione motorino o minigonna, con alle spalle un matrimonio fallito e la persistente ansia di comunicazione affettiva, per cui incorrerà in ulteriori delusioni con uomini affascinanti ma incapaci d’impegno durevole e di assunzioni di responsabilità. E nel molto animato villaggio non le mancheranno le occasioni di evadere, ora con uno spregiudicato Javier, ora con un misterioso Diego per il quale prenderà una cotta tormentosa.

Ma quello che fa di questa Lisa un personaggio tipico della femminilità come valore passionale è il suo continuo sentirsi legata al richiamo di un precedente amore, quello narrato nella prima parte del libro, un’esperienza che appare appagante in tutti i sensi, eccetto quello di voler prevedere qualcosa di duraturo. Nonostante ciò, quest’uomo, anzi il solo suo nome, affiorerà di continuo, quasi come fantasma nel corso delle vicende che animano i giorni di relax. Anzi alla fine, egli, Luca per l’esattezza, sembrerà addirittura rifarsi vivo per Lisa, come per agnizione teatrale, attraverso la figura del fratello, il Diego di cui sopra.

Forse questa conclusione disturba un po’ il clima di greve follia vacan  ziera al sole invernale dei Caraibi, nel  quale le pagine hanno coinvolto; o forse inficia la naturale leggerezza degli incontri e degli amplessi che nel libro a volte ben sanno di quella delicatezza erotica, umanamente plausibile, che però nulla ha a che fare con l’auspicata durevole felicità, raro sogno dei soliti amanti di questo mondo.

Elio Giunta

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pagg. 53-54.




 Questa città 

Ahi povera Italia, terra di guai, 
vai come nave senza guida 
nella tempesta, 
nazione senza prestigio, ricettacolo 
di troppe porcherie, 
se un animo gentile predica amore 
e gioia per la sua terra 
la maggior parte degli abitanti tuoi 
d’odio si pasce, d’invidia e di vendette. 
Non c’è regione in te né spiaggia 
ove si possa stare in pace. 
Il diritto di cui sei stata madre 
ora è per te motivo di vergogna. 
E il clero, anche il clero va dietro 
a favori materiali 
e le anime non guida per la retta via. 
E voi, gente di potere, guardate 
a che punto siamo: 
pensate solo ai vostri affari 
mentre lo stato 
va in malora e la gente imbestialisce 
oltre ogni limite, 
che Dio vi maledica e angosciose pene 
rovesci 
su voi e i vostri figli, sicché 
ne venga monito 
ai futuri governi, giacché l’avidità 
di potere 
vi tiene stretti alle poltrone e vi porta 
all’ abbandono del comune bene. 
Da ogni parte azzUlTi e rossi 
e bianchi e verdi fanno cagnara 
opprimono l’umana dignità 
accampano magagne; 
e a chi resta la cura del paese ridotto 
ormai al buio e all’abbandono? 
Se ci è lecito osare l’invocazione a Cristo 
non possiamo non dire: 
dove hai volto lo sguardo? 
Ci hai forse abbandonati, o Padre, 
o il nostro male rientra nel mistero 
dei tuoi disegni provvidenziali per noi 
incomprensibili? 
Certo è da stupire come in ogni città 
qualsiasi villanzone diventa 
un pezzo grosso 
per meriti di partito. 
Tu, Palermo, ne sai qualcosa, 
rallègrati davvero del falso progresso 
della tua gente, 
specie stando alla fama di mafia 
che ti porti dietro. 
Qui tutti sputano sentenze, 
tutti si affannano per conquistare posti, 
i pochi onesti vivono nascosti. 
Gli antichi saggi ormai contano nulla 
rispetto ai governanti d’oggi 
che fanno e disfanno leggi, 
futili proclami, ridicole ordinanze 
che magari durano un sol giorno, 
per cui, chi ha memoria, 
vede questa città 
come eterna ammalata che di qua 
di là si volta 
nel letto di una politica, con la quale 
anziché guarire vieppiù si ammala. 

Elio Giunta

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 63-64.




 Letteratura e stroncature domenicali 

Un buon periodico nasce e si sviluppa per colmare lacune o qualche insufficienza che si riscontra nella stampa corrente e in sostanza per portare avanti un’ idea di fondo che si ritiene necessario affermare. Ne viene fuori pertanto una specie di missione per la quale, ovviamente, occorrono le persone adeguate allo scopo, che abbiano entusiasmo e le relative capacità. Se così non fosse, pubblicare un giornale sarebbe una cosa balzana, destinata al fallimento, come per lo più accade ai molti periodici che qua e là sorgono per subito scomparire. 

Fa notizia a proposito sapere che da un certo tempo va in edicola un settimanale, definitosi di pura cultura, e che rivela un impegno preciso, quello di frenare l’eccessivo predominio delle voci di sinistra nel campo appunto della cultura: un impegno chiaramente di tipo ideologico, ma che si sta a vedere, a sua volta, se anche muove da un’ idea precisa, cioè se ha dietro una sostanza culturale alternativa nei propositi, cui corrispondano uomini e criteri capaci di sostenere una proficua dialettica. Intanto la polemica la fa e su un campo che non può non destare il nostro interesse e sulla quale avanziamo più di qualche concordanza. 

Tempo fa le pagine di detto settimanale – dal titolo Il Domenicale, per l’esattezza, – erano tutte vistosamente impegnate in dettagliate stroncature di opere di autori noti e meno noti che hanno tenuto banco nelle recentissime cronache librarie italiane e che, evidentemente, hanno fatto pensare ad una situazione di canali editoriali ispirati in un certo modo e praticabili secondo determinati rapporti ligi ad un sinistrismo di maniera. 

Da convenire comunque che il discorso di base del direttore del detto Domenicale è decisamente condivisibile. In Italia si stampano troppi libri, ci sono troppi scrittori o soggetti che si definiscono tali, mentre nessuno o pochissimi leggono. E tutti si danno da fare per avere la recensione o la presentazione, e tormentano amici e conoscenti per un rito divenuto ormai inutile e fastidioso. Come sono troppi quelli che hanno magari snobbato a tempo debito la scuola ed ora vogliono salire in cattedra a fare i professori, così sono troppi quelli che coltivano la vanagloria di fare la comparsa nelle vetrine dei librai: anzi; chiunque ha una posizione in qualche modo sfruttabile dal punto di vista mediatico, s’improvvisa scrittore, romanziere, anche se non si accorge neppure che quel che gli è venuto da dire non interessa nessuno. Diventano scrittori i politici in cerca di accattivarsi il pubblico, i tanti distributori di buonismo antidroga ed antimafia come i preti televisivi, lo diventano attori e soubrettes e vari esperti soprattutto di faccenduole piccanti; oggi credono di esserlo i versati alle furbizie delittuose, per cui vengono fuori a ripetizione gialli su gialli, spesso senza buon gusto e sempre ad oltraggio della vera letteratura. Evidentemente a puntare al successo c’è un esercito di cosiddetti scrittori che ci prova, e qualcuno che ha i giusti agganci ci riesce. 

È indimenticabile, per esempio, il caso di certo Faletti, autore di un giallo, un grosso libro d’intrattenimento, letterariamente inutile, ma che, celebrato da un recensore di un periodico come il più importante scrittore del momento, balzava subito in testa alla classifica dei libri più venduti. Citiamo il caso per portarci alle motivazioni di fondo della querelle, cioè la mercificazione del prodotto libro, determinata dalla mercificazione professionale della funzione dei critici, cioè di coloro che dovrebbero onestamente indirizzare i lettori e scoraggiare gli avventurieri della penna. Se si avesse ancora un qualche rispetto per la funzione umana oltre che sociale della letteratura; perché questo è il problema: la valutazione di un libro di narrativa o di poesia non può continuare ad essere affidata a scambi tra amici e conoscenti, all’opera di faccendieri degli uffici stampa dei grossi editori che premono sulle redazioni dei giornali di grido, che a loro volta premono sui critici accreditati e li condizionano. Chi recensisce poi dovrebbe essere persona di tale prestigio (ma ce ne sono?) da non restare acritico servitore di interessi poco conducenti, specie se ideologizzati, ma deve affermare piuttosto dei criteri di valutazione, sicché vadano all’ approfondimento, spesso alla rivelazione di ciò che ci riguarda come esistenza, come vita interiore, come pensiero, come storia. E così distinguere l’alto, il medio, il mediocre e il superfluo. 

Ecco: tornando al discorso del Domenicale, per altro molto apprezzabile per la disinvoltura, riteniamo siano da aggiungere dei suggerimenti su come ovviare all’impasse, smascherando i responsabili. 

L’uno l’abbiamo fin qui dato, l’altro sarebbe quello di denunciare ormai i nomi di coloro che detengono i poteri occulti di tanto scempio culturale, quelli che dirigono le collane delle più note case editrici, esplicitando i loro metodi di scelta e magari la loro ispirazione ideologica o l’essere contro un sincero pluralismo. Nel contempo proporre delle alternative ai gestori delle cosiddette terze pagine dei giornali o delle rubriche dei periodici, espressione delle stesse case editrici, dove attualmente i soliti nomi s’incensano tra loro (e si vogliono accostare gli studenti alla libertà di pensiero della stampa! Figurarsi!); perché combattere l’omertà mafiosa non è solo faccenda di coppole storte, ma anche di cultura che non va per la dritta. 

Elio Giunta

Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 3-4.