Cronaca per Occhialì 

 Un editore di Calabria Luigi Pellegrini da Cosenza ha chiesto allo scrittore Francesco Grisi, nostro collaboratore, alcuni racconti ambientati in Calabria per raccoglierli in un libro. 

Francesco Grisi di famiglia cutrese in provincia di Crotone, cittadino onorario di Cutro, ha consegnato all’editore cosentino dieci “memorie”. Il volume sarà pubblicato tra giorni con il titolo Laggiù in Calabria nella prestigiosa collana “Zaffiri”. 

Per gentile concessione siamo lieti di pubblicare un racconto di Francesco Grisi che ci sembra esemplare per l’idea di “calabresità” che lo stesso scrittore propone nel suo libro “Racconti popolari della Calabria“. 

Cronaca per Occhialì 

Non abbiamo molte notizie sulla sua morte. L’unica cosa accertata è la data. Morì di sabato nel mese di luglio del 1595 a Costantinopoli tra le braccia odorose di una donna calabrese generosa in amore. Il suo nome è Giovan Dionigi Galeno. Era nato in un piccolo borgo sul mare Ionio chiamato “Castella” nei pressi di Cutro. Catturato dai Turchi affrontò privazioni e sacrifici. Divenne marinaio, capitano di nave da guerra. maestro, ammiraglio, dominatore dei porti del mediterraneo. Da povero profugo divenne un re trionfante per i turchi e per gli arabi che allora dominavano i mari. Quattro imperatori gli concessero stima. Solimano, Selin, Amuratte e Maometto lo ebbero consigliere. Cambiò nome, cognome e religione. Per la precisione si chiamò Occhiali o Uccialli o Kilig Ali. Con fede si converti all’Islam. E costrui sul colle di Top-Hana (sul mare azzurro del Bosforo) una sontuosa moschea che sembra volare nel cielo con le sue cupole dorate. Quando morì il suo corpo deposto tra quattro torce secondo l’antico rito cristiano e, poi. sistemato nella moschea che aveva fatto edificare. 

Navigando a destra e a manca, conquistando Malta e Tunisi e combattendo contro i veneziani a Lepanto, Occhiali non dimenticò mai la sua terra dove aveva avuto i natali nel 1520. Allora Castella e Cutro erano ancora incorporati nella Contea di Santa Severina che aveva avuto massimo splendore con Andrea Carafa che sulla collina cretosa aveva costruito un castello poderoso. Dominava il marchesato tra la Sila e lo Ionio. Poi c’era quello di Crotone e del paese di Occhiali. Era triangolo perfetto per difendersi dalle incursioni dei pirati e dei turchi. Ma le mura e gli eroismi non sono sufficienti. 

La sua terra Calabra restò sempre nel cuore del ricco e potente ammiraglio. 

Ancora ragazzo venne rapito il 29 aprile del 1536, domenica. Era andato alla Messa quando all’orizzonte apparvero i vessilli nero-bianco dei “pirati” alti sui pennoni. La madre Pippa di Cicco (chiamata Peppa della Castella) sfiorata dal presentimento corse a cercare Giovan Dionigi. Ma non trovò il figlio in chiesa. Si era nascosto con una sua compagna di nome Maria in una cantina vicina. La madre aveva intuito che tra suo figlio e Maria c’era una simpatia e quando li vide abbracciati felici (dimentichi dei turchi) chiuse la porta della cantina. Fu l’ultima volta che incrociò il figlio. 

Giunsero i turchi che rapirono il giovane che, a quanto si dice, si fece prendere per nascondere Maria. Comincia cosi la storia di Occhiali. 

Non ebbe grandi amori ma sposò la figlia del Sultano. Impegnato a combattere per la gloria e il potere considerò l’amore un privilegio o una abitudine. La cronaca è carica di “stravaganze”. Un giorno del 1562, ad esempio, nominato dal 

Sultano capo della guardia di Alessandria, organizza con il grande comandante Dragut una spedizione a Napoli canora capitale del vicereame. Nelle carte non risulta lo sbarco dei turchi sebbene il popolo napoletano si era già preparato a riceverli con trik-trak e fuochi di artificio di mezzelune di vari colori fabbricate a Pozzuoli. La cronaca dice, invece, che Occhiali con un gruppo di fedelissimi sbarcò a Ischia-porto mentre si svolgeva la festa della infiorata. Canti, suoni, chitarre e amori all’infinito sulla riva del mare. Occhiali e i suoi fedeli si incontrarono per una notte con le donne ischitane e al chiarore della luna ogni cosa divenne splendore. Nacquero anche numerosi ragazzi di bella fattura che ancora a Ischia si chiamano i turchi. 

Dopo la “prova” d’amore Occhiali non assaltò Napoli ma scrisse una nobile lettera al vicerè. 

-Avrei potuto saccheggiare e vincere. Il vostro popolo non è fatto per la guerra. Ama la pace e mi avrebbe ricevuto con corone di fiori. Ma non sono sbarcato perché a Ischia. in una notte d’amore, ho capito che a Napoli e dintorno sono le donne che comandano con la loro allegria. E contro le donne non si combatte•. 

La lettera venne affissa anche nelle case di appuntamento e le puttane la conservavano nel petto come una reliquia. 

La cronaca dice anche il 21 maggio del 1562 Occhialì sbarcò a San Leonardo di Cutro a un tiro di schioppo dal luogo dove era nato. Raggiunse Castella e subito si recò nel cimitero dove riposavano Birno e Pippa, il padre e la madre. Era musulmano ma entrando si fece il segno di croce e pregò la santa Madonna anche venerata nella religione islamica. Il cimitero di Castella è su una collina odorosa di ulivo e di mare. Occhialì, in sogno, rivide i mattini rugiadosi, la colonna di Hera nel cielo di Crotone, la fiamma nel camino della legna della Sila. gli antri verdi delle rocce marine e le cento cose della infanzia felice prima di essere preso prigioniero. E pensando la stagione della infanzia quando il sole levigava la pelle, si ricordò di Maria. Non l’aveva mai dimenticata ma era rimasta nel territorio dell’anima dove depositiamo le memorie più care e fedeli che ci accompagnano sempre. E allora Occhialì uscì dal cimitero e si precipitò in paese. Tutto era silenzio. Gli abitanti fuggiti si erano allontanati verso Cutro. Allora Occhiali si recò nella casa di Maria. Spalancò la porta e vide nella penombra una donna accartocciata su una sedia, immobile che non poteva più muoversi perché paralizzata. Era Maria ma Occhialì non la riconobbe. E Maria non fece niente. La donna calabrese aveva capito che doveva rimanere nella immaginazione di Occhialì la ragazza di tanti anni fa quando si era concessa vergine al compagno di giochi in una cantina mentre i turchi sbarcavano. Qualcuno poi disse a Occhialì che Maria era morta. Ma il figlio di Calabria. grande ammiraglio turco. ebbe sempre dubbi in proposito. 

Francesco Grisi

Da “Spiragli”, anno VIII, n.1, 1996, pagg. 23-25.

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