Giacomo Bartolini, Voci riflesse (Album di traduzioni), Florence Art ed., Firenze, 2009.

 La traduzione come forma d’arte 

La traduzione, di prosa o poesia che sia, è considerata una forma d’arte, un genere letterario e, come tale, da sempre è stato praticato da poeti, quali Catullo, Foscolo, Leopardi, per citare alcuni. Questo a conferma che essa non ha niente da invidiare alle altre forme d’arte, se rispetta certi parametri propri di una traduzione e la personalità dell’artista. 

Giacomo Bartolini, in questo suo lavoro, tiene a precisare questo, e ritengo sia riuscito a dare una trasposizione poetica aderente ai testi poetici presi in considerazione. D’altronde, «la traduzione di una poesia è sempre un’opera creativa», scrive nella nota che premette alla silloge Voci riflesse. (Album di traduzioni), pubblicata da Florence Art lo scorso anno e, difatti, è una creazione a tutti gli effetti, è un ri-creare ciò che da altri è stato fatto, e non è facile, specie se si tratta di poesia, agire sui testi, senza alterare la personalità del poeta con cui ci si sta cimentando. Ma Bartolini, che è un poeta, riesce bene nel suo intento, proponendo con tanta sensibilità e altrettanta perizia tecnica autori consoni al suo modo di sentire, perché anche in scelte come queste è l’affinità elettiva che fa optare per un autore anziché per un altro. 

Il titolo, ben appropriato, dice il rapporto stretto che l’Autore stabilisce con i suoi “amici” interlocutori, anzi entra in simbiosi con essi e canta, perché di un canto si tratta, con la loro voce e gli stessi strumenti. Da poeta, conosce i ferri del suo mestiere e li usa a suo piacere e secondo le varie esigenze che gli si presentano. Sicché entrato in sintonia con i suoi poeti, rispetta non solo il loro modo di rapportarsi con i lettori, ma la struttura estetica, e se c’è anche la rima, ormai in disuso eppure sempre accolta con piacere, specie se non forzata e ubbidiente al loro sentire. 

Volendo fare un esempio, prendiamo “Le revenant / Lo spettro” di Baudelaire: Comme les anges àl’oeil fauve, / Je reviendrai dans ton alcôe / Et vers toi glisserai sans bruit / Avec les ombres de la nuit (Tornerò nella tua alcova, uguale / ad un angelo dall’occhio crudele, / accanto ti scivolerò taciturno / con le ombre del cielo notturno). Rispetto al testo francese, Bartolini ricorre a piccoli accorgimenti, anche a trasposizioni nella libertà che non stravolgono l’autore ma, semmai, l’avvicinano alla sensibilità dei moderni. Così si regola anche per gli altri poeti. 

Oltre a Baudelaire, è riportato anche Stéphane Mallarmé con un congruo numero di componimenti, ma ci sono altre presenze francesi che non sono da meno (T. Gautier, J. M. de Hérédia, T. de Banville, P. Verlaine, A. Rimbaud) e inglesi e tedeschi (Poe, Goethe, Kipling, Nietzsche). Sono poeti dell’Ottocento che, ciascuno a suo modo, hanno contribuito a svecchiare la cultura e ad aprire alla modernità col vento di libertà individuale che seppe contagiare le masse e portarle al rinnovamento politico-sociale che, nonostante la rivoluzione francese, non si era ancora concretato. Ma quelli erano altri tempi, quando – come scrive Giacomo Bartolini nella “Prefazione” – «la poesia, al di là di qualsiasi distinzione o approfondimento, è stata davvero il veicolo privilegiato delle idee e delle forme più interessanti e innovative». 

La poesia, pur essendo elitaria, aveva meglio consolidato la sua funzione educativa ed era un valido mezzo di informazione, e lo potrebbe essere tuttora, se la scuola e le altre agenzie formative le dessero più spazio e coinvolgessero i giovani, come avviene in tanti altri Paesi, forse meno progrediti del nostro, ma interessati a non disperdere valori e potenzialità che, alla lunga, contribuiscono alla loro crescita umana e sociale e a dare loro maggiore compattezza e unità. 

Salvo Marotta

Da “Spiragli”, anno XXII, n.1, 2010, pagg. 61-62.

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