Le chiavi dell’anima

 L’uomo ha diverse chiavi a sua disposizione. Diversi mediatori che aprono le porte che conducono nelle due fasi opposte. Il cervello, in senso generico, la mente o, comunque, il proprio sé, mediano le due realtà: quella esteriore e oggettiva con il vissuto interiore soggettivo. Ciò significa che ogni realtà non solo diventa una realtà diversa per ognuno, ma anche lo stesso individuo può viverla in diversi modi dipendenti strettamente dal suo stato d’animo” o “mentale” che dir si voglia. Esiste dunque una realtà per ognuno di noi: una realtà che sfugge dalla sua oggettività, caricandosi di tutti quei significati che noi gli attribuiamo. “L’oggetto osservato non può prescindere dall’osservatore”, affermava Groddek. Questa la porta di entrata che usa il mondo per penetrarci. 

La chiave che l’uomo usa invece per entrare a far parte della realtà oggettiva, o per aprire la porta di uscita dal sé, è rappresentata dalla parola. La parola è il medium, il mediatore tra pensiero e oggettivazione del pensiero. Con questa chiave noi possiamo penetrare in altre menti, dare informazioni che ci riguardano, scoprire una parte di noi, non sempre la più vera. La parola è un “segno” unanimemente riconosciuto, ma non per questo perfetto. Anzi, essa è un mezzo assai limitato se pensiamo che deve racchiudere il pensiero, astratto ed infinito, riconducendoci al contrasto più volte rappresentato della convivenza degli opposti. 

Della parola e del suo uso corretto o scorretto si è detto tutto o quasi (Gesù: “Che la vostra parola sia: Sì, sì – NO, no.) Per quanto limitata essa sia, è anche l’unico mezzo che abbiamo per comunicare, per mostrare realtà soggettive. Per assurdo, essa può essere usata per nascondere invece che per mostrare. La parola è in grado di mascherare il pensiero, la verità, essa può vendere piombo per oro. L’uso della chiave della parola ci costringe, pur con tutti gli intenti di sincerità, ad essere interpretati, a costringere l’infinito nel finito. La parola è delimitazione, ma unita all’intuizione, legata all’arte, è in grado di mostrare la nostra piccola parte di verità, può “pescare” nell’inconscio collettivo. 

Se al segno scritto, concretizzazione del suono, partecipa anche il nostro mondo interiore, la parola smette di essere segno per diventare simbolo: 

allora essa è in grado di librarsi, come accade nella poesia e nella letteratura, se le opere sono tali da mostrare tra le righe l’anima comune: se sono tali da cogliere sentimenti universali, attimi che sono uno specchio nel quale ricercarsi soli per ritrovare il mondo, essere uno e divenire moltitudine. L’arte è una delle manifestazioni dell’interiorità umana, un raro momento in cui si dà voce all’infinito che è in noi. 

Se in qualche caso la parola può divenire “voce dell’anima”, per la maggioranza 

dei casi essa viene usata nel suo ruolo specifico di “segno”. Se, per esempio, esprimiamo delle teorie matematiche, essa può razionalmente contenerle, poiché il “segno” attribuito ha un valore unico per tutti. Ma se “sconfiniamo” come normalmente accade e cominciamo ad esprimere sentimenti o sensazioni, ecco che essa diviene interpretabile, passibile di valutazioni personali che mettono in gioco il filtro delle esperienze personali di chi ascolta. Una carta difficile da giocare senza bluffare. 

L’altra chiave, la più densa di misteri interpretativi, è il simbolo, voce dell’intuizione, parola dell’anima. Essa apre la porta che conduce dall’incoscio al conscio, dall’infinito al finito, dall’interno all’esterno. Così come l’intelletto serve all’uomo per adattarsi alla realtà e alle condizioni di vita, così l’intuizione insegna 

che la realtà non si limita al suo aspetto fisico e materiale. Essa viene sfuggita perché scuote le nostre pseudo-verità, le nostre labili certezze. Essa offre sicurezze, offre dubbi, speranze, paure, meraviglie. È umiltà e non ribellione a Dio: tentativo di avvicinare il segreto senza violarlo, poichè questa é la parola che conduce a Dio, la “strada stretta” del Vangelo, il mezzo attraverso il quale si acquistano “occhi per vedere” ed “orecchie per sentire”. Ciò significa che non tutte le orecchie sono in grado di ascoltare, che non tutti gli occhi sono in grado di vedere, perché offuscati dalla propria razionalità, dal proprio smisurato orgoglio. L’intuizione riconosce Dio come Padre, fa nascere il bisogno di ritorno allo spirito. Ma è, comunque, una chiave molto, molto difficile da usare. 

Il simbolo, mediatore e chiave dell’intuizione, parla attraverso i sogni, ma non esclusivamente così: passa per l’anima e si dirige verso la nostra coscienza, mascherato con qualcosa di comprensibile. È la maschera della verità, una verità forse troppo grande per noi, che per toccarci senza distruggerci, deve nascondersi sotto il velame simbologico. 

Nel Dizionario dei simboli Chevalier – Gheerbrant, il simbolo viene così definito: “Il simbolo è bipolare… Coglie relazioni che la ragione non coglie. Ha forza centripeta stabilendo un centro di relazioni al quale il molteplice si riferisce trovando la sua unità. È elemento unificatore… perché è in grado di farsi comprendere da chiunque, qualunque lingua parli… esso non usa parole ma solo ciò che di vero in comune hanno gli, uomini. E si comunica solo in proporzione alla misura e all’apertura delle capacità personali”. E ancora: “… [L’intuito] risveglia energie che il simbolo concretizza. Esso va indagato con l’anima ed ogni anima vi nasconde le sue verità”. G. Durand lo definisce in “dinamismo organizzatore”; J. Jacobi afferma che “mantiene sempre viva la tensione tra i contrari che è alla base della nostra vita psichica”. “Il simbolo separa e unifica, ha in sé l’idea di separazione e riconciliazione”. Ha quindi un’importanza determinante in un mondo dominato dalla legge degli opposti, poiché ha un potere equilibratore, ma non impedisce il “movimento” dell’energia psichica. 

Secondo Jung, esistono dei simboli comuni all’intera umanità, che definisce “archetipi”: Più il simbolo è arcaico e profondo più diventa collettivo e universale”. Esistono quindi delle basi comuni, che poi vengono “elaborate” dalla cultura e dal contesto sociale e religioso di ognuno. L’archetipo è comune retaggio, ma non mostrandosi uguale per tutti, diviene assai importante saperne riconoscere la radice. 

Anni fa, discutevo con un ragazzo egiziano conosciuto casualmente di come a volte i problemi religiosi possano condurre, al di là dell’apparente ricerca del bene, a guerre sanguinose e fratricide. Era da poco tornato dalla guerra e l’esperienza era ancora molto viva in lui, pregna di emozione. Io, da parte mia, ero molto disponibile all’ascolto. emozionalmente partecipe. Forse proprio per questo, senza quasi avvedercene, iniziammo a comunicare in maniera molto profonda, quasi che le nostre anime o i nostri inconsci fossero entrati in contatto diretto. superando le difficoltà linguistiche e poi il bisogno stesso di parole. Difatti, diverse volte comunicammo telepaticamente. 

Fu un’esperienza assai insolita che ci lasciò una sensazione di fratellanza. O che, comunque, aveva stabilito un legame che andava al di là di ogni limite umano. Eravamo proprio sulla stessa “lunghezza d’onda” e lo eravamo già da tempo, probabilmente ancor prima di conoscerci, perché, parlando scoprimmo di aver fatto dei sogni molto simili che, ad un’analisi più approfondita, ci mostrarono delle “verità”. In un sogno fatto molti anni prima, avevo ricevuto un messaggio da un “angelo”. Era un messaggio, il cui contenuto non riporto, che riguardava la mia persona. Fu con grande sorpresa che A. mi disse di aver ricevuto lo stesso messaggio, che però lui aveva ascoltato da una voce proveniente dal sole. L’elemento in comune, oltre al messaggio, era anche la luce, una luce sconosciuta, indimenticabile. 

Era la stessa energia ad essersi manifestata in noi, seppure simboleggiata in due modi differenti legati alla nostra cultura socio-religiosa. Come non pensare infatti, alla lunga tradizione storica religiosa e culturale egiziana, nella quale il sole, Ra, era considerato un Dio? Quella tradizione che A. portava in sé, forse geneticamente, forse in maniera più ancestrale, aveva dato vita a quel simbolo, tanto diverso ma tanto simile al mio. Sorridemmo pensando che allora, un induista poteva aver ricevuto lo stesso messaggio da una Mucca Sacra, ma comprendemmo una cosa assai importante e cioè, che pur essendo due persone appartenenti a due gruppi etnici diversi, provenienti da culture e religioni differenti, in momenti diversi delle nostre “storie”, avevamo trovato quell’anello che legava le nostre esistenze: la fratellanza, quella vera, data dall’essere figli di un unico Creatore. E, inoltre, che il messaggio ricevuto conduceva ad un’unica fonte, conteneva una verità comune ad entrambi e a tutti quegli esseri sparsi per il pianeta che si fossero trovati in grado di riceverla in quel momento (infatti, per uno strano “caso” avevamo fatto quel sogno la stessa notte di molti anni prima). Questa strana simbiosi di anime era scevra da qualsiasi altra implicazione di tipo più umano. Ed ebbi la prova della non casualità della cosa, quando, con l’aiuto inconsapevole del ragazzo stesso, riuscii a salvare la vita in una situazione molto difficile. 

Non l’ho più visto. Credo che ormai sia tornato al suo Paese, ma il nostro incontro è stato determinante, ha acquisito un significato profondo e una magia che sembrano inspiegabili. Da parte mia, una profonda riconoscenza, che vorrei dimostrargli. Ma so che è impossibile, poiché all’epoca non ci scambiammo né indirizzi né cognomi. Sembrava che tutto ciò che ci riguardasse si fosse esaurito lì: in quello strano incontro finalizzato alla “conoscenza” di alcune cose. E che noi ne fossimo consapevoli, seppure a un livello molto lontano dalla coscienza razionale. 

Questa esperienza mi insegnò che le differenze di espressione non tolgono ai simboli il loro aspetto di specchi della verità, di universalità, poiché la mente, una volta entrata a contatto con energie che non conosce e che non è in grado di afferrare, le simbolizza in qualcosa di accettabile, di comprensibile. Nella stessa Bibbia. Dio appare a Mosè sotto diverse forme, come il fuoco, la nube ecc. Era Dio a mettersi alla portata dell’uomo o viceversa era l’uomo stesso a simbolizzare, a trasformare cioè la realtà superiore in una realtà finita. più consona ed abituale alla sua natura? 

In questo senso. ogni religione. ogni cosmogonia. può essere spiegata completamente e razionalmente. perché una volta logicizzata perderebbe il suo valore spirituale di comunicazione tra le anime. E il messaggio non è per tutti. Cristo spiegava agli apostoli i misteri della fede. ma parlava in parabole agli uomini comuni. Così facendo Egli operava una scissione, una scelta tra chi sia in grado di “comprendere” e chi no, tra chi sia dotato di spirito e chi sia racchiuso ancora nel suo piccolo mondo materiale. “Non date perle ai porci”. Questo insegna il Vangelo. Ed anche: …..affinché guardino bene, ma non vedano, odano bene, ma non intendano, perché mai avvenga che si convertano e sia loro perdonato” (Mc N, 11-12). 

Uno dei tanti motivi della caduta della fede sta proprio in questo voler razionalizzare Dio, in questo credere come Tommaso, solo se ci viene offerto il costato. Ma la chiesa, qualunque essa sia, non può confrontarsi con la scienza. Non possiamo pretendere di spiegare la “genesi” con le leggi scientifiche. alle quali, in ogni caso, l'”origine” sfuggirebbe comunque. Ciò significa che anche se accettassimo il “Big-Bang” come “inizio”, non potremo comunque spiegare il pre-esistere dell’energia e della materia che costituivano la massa informe in seguito esplosa formando i pianeti del nostro sistema solare. È come dire che il Caos si evolse, ma ciò non spiega l’esistenza del caos stesso. 

É il confine tra esistenza e non esistenza che sfugge ad ogni nostra volontà 

d’indagine. È l’amletico “essere o non essere”. 

Così come dal caos biblico emerse una volontà organizzatrice, lo spirito di Dio librato sulle acque dell’abisso che fecondò le acque originando la vita, così dentro di noi, nel nostro caos interiore, fusione di bene e male (Plinio: il bene è commisto al male), di natura e spirito, emergono quelle forze organizzatrici o distruttrici. Il caos è porta della vita, ma contiene anche l’idea dell’abisso, la fase disgregativa, la porta della morte, proprio come la figura femminile, rappresentazione dell’istinto, contiene in sé l’aspetto di datrice della vita, ma anche il suo opposto, poiché “Eva” offre ai suoi figli una vita mortale. Una vita che contiene in embrione il suo opposto. È essa stessa rappresentazione, nel teatro simbologico, di un’evoluzione involutiva. 

Ma non possiamo comprendere a fondo il concetto di vita e, di morte, di essere e non essere, se ci arrocchiamo su posizioni prestabilite, se non ci apriamo spiritualmente, se non ci svuotiamo lasciandoci liberamente penetrare dalla verità; se non smettiamo di opporgli dei muri a difesa della nostra roccaforte personale legata all’io e alla difesa strenua dell’io. 

La natura ci mostra come ad ogni fine corrisponda un nuovo inizio, scandito dal continuum, dall’eternità del tempo. “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Questa legge scientifica, che a prima vista sembra negare Dio. poiché nega il potere creativo, invece, forse involontariamente, la preesistenza del “tutto”, l’assenza della “fine”, della morte, sostituita dal “mutamento di stato”. Essa mostra l’universo e noi, parte di esso, in moto, in continua trasformazione, in evoluzione. Il moto circolare, forza creativa dell’universo, tendenza di ogni pianeta, è come il serpente che si morde la coda. È metamorfosi senza fine, poiché la fine di un ciclo conduce in un altro ciclo, la fine di un’esperienza conduce in un’altra esperienza che è suo prodotto, risultato finale di quella anteriore. 

Così si esprime H.P. Blavatsky nella Dottrina segreta: .All’inizio di un periodo attivo avviene un’espansione di questa essenza divina dall’interno all’esterno, in obbedienza all’eterna e immutabile legge, e l’universo fenomenico o visibile è l’ultimo risultato di una lunga catena di forze cosmiche messe così, progressivamente, in moto. In egual modo, quando riprende una condizione passiva, avviene una contrazione dell’essenza divina e il precedente lavoro di creazione è gradualmente e progressivamente distrutto. L’universo visibile si disintegra, il suo materiale viene disperso, e la “tenebra” solitaria e unica si raccoglie ancora una volta sulla faccia dell’abisso. Per usare una metafora che chiarirà ancor più l’idea, una espirazione dell”‘essenza” produce il mondo, e una inspirazione provoca la sua scomparsa. Questo processo avviene da tutta l’eternità, e il nostro attuale universo è solo uno di una infinita serie che non ha inizio e non avrà fine •. Ma in questo aprirsi e chiudersi di porte del nostro spaziotemporale, dietro quale porta cercare Dio? 

Il famoso “conosci te stesso” è la risposta implicita alla nostra annosa domanda. “Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo”, ci insegnavano a recitare all’oratorio. 

Dio è anche in noi, Dio è una parte di noi, Dio è nell’uomo che si fa Buddha, Dio è nell’uomo che supera le prove iniziatiche che la vita gli pone. Dio è quell’essenza che lotta per venire alla luce, e non è assurdo pensare che saremo noi stessi a giudicare le nostre azioni e le nostre opere; ma non con la nostra attuale coscienza egoista, parziale e interessata, che ci induce ad essere tanto benevoli con noi stessi quanto malevoli siamo con il prossimo, che ci mostra la pagliuzza nell’occhio altrui ignorando la trave conficcata nei nostri occhi che ci impedisce di “vedere”. 

Sarà la nostra parte divina, la verità ora nascosta a giudicare. E giudicheremo noi stessi con lo stesso metro con il quale avremo giudicato gli altri. Questo è il potere della nemesi, la vera giustizia, la legge di causa-effetto, il karma o che dir si voglia. Soltanto il vero può giudicare il falso, poiché il falso non può conoscere la verità. 

Uscirà dal fondo dell’uomo l’anticristo che condurrà all’apocalisse. E sarà una battaglia tra le forze del bene e del male, non necessariamente combattuta a livelli atomici o mondiali. Sarà la lotta che ognuno già conduce dentro di sé, nel suo luogo segreto e interiore; una guerra che separerà i “giusti” dai “malvagi”, in cui il bene sarà scisso dal male, poiché le “forze” in noi si stanno accrescendo, stanno emergendo, stanno maturando un’evoluzione su due binari opposti. Forse allora il bene non sarà più commisto al male, e l’apocalisse non avrà più il significato che gli è sempre stato attribuito ingiustamente. Apocalisse significa rivelazione. Ma attenzione: rivelare significa svelare, sollevare il velo del segreto, ma anche ri-velare, riscoprire, rinascondere. Ciò significa che il “segreto” si mostra per attimi sfuggenti, si illumina e scompare di nuovo nel mistero. L’apocalisse si preannuncia dunque come una rivelazione: come il raggiungimento della verità. Il punto finale di uno stato di cose che prelude ad un nuovo inizio piu consapevole. 

Ci attende, ed è inevitabile, una “revolutio”, e sarà un’esplosione o un’implosione. Un buco nero o il Big-Bang di un nuovo inizio. Una battaglia che a livello esoterico si annuncia combattuta sui campi dell’anima, dove nella lotta tra gli avversari solo uno dovrà soccombere. 

La rivelazione è già iniziata, sebbene pochi se ne avvedano. Pensiamo alle parole di Cristo: «…Quando sentirete parlare di guerre vicine o lontane, non abbiate paura: tutto ciò deve accadere, ma non sarà ancora la fine… Ci saranno terremoti e carestie in molte regioni. Sarà come quando cominciano i dolori del parto… E quando vi arresteranno per portarvi in tribunale, non preoccupatevi di quel che dovete dire: dite ciò che in quel momento Dio vi suggerirà, perché non sarete voi a parlare, ma lo Spirito Santo». “Cristo annuncia quindi la “discesa” dello Spirito Santo negli ultimi tempi. Questa è la “forza”, la “luce” che si sta accrescendo e che ci condurrà a quanto fu annunziato per mezzo di Gioele: «Ecco – dice Dio – ciò che accadrà negli ultimi giorni: manderò il mio Spirito su tutti gli uomini: i vostri figli e le vostre figlie avranno il dono della profezia, i vostri giovani avranno visioni, i vostri anziani avranno sogni. Su tutti quelli che mi servono, uomini e donne, in quei giorni io manderò il mio Spirito ed essi parleranno come profeti…». Finalmente i doni dello Spirito saranno rivalutati, il veggente vedrà compresa l’origine della sua luce interiore, perché chi è stato scelto per “intendere”, intenderà. 

È bene precisare che anche in questo campo sarà saggio applicare la parabola 

dell’albero e dei suoi frutti. Bisognerà, cioè, saper discernere alla luce della propria verità e coscienza, i frutti del male che apparentemente sono assai simili a quelli del bene. Non dimentichiamo che il “falso profeta” ha conosciuto il cielo, ha collaborato alla “creazione”, ed è un buon imitatore dei poteri divini, sa mescolare la verità alla menzogna, sa illuderci che il nostro male sia il nostro bene. Non saranno i “negromanti” le stelle da seguire nella navigazione della notte dei “tempi bui”, ma ancora quelle “voci che gridano nel deserto” nel deserto di silenzio interiore della nostra epoca. 

Ma come uscire dal labirinto di confusione che è dentro di noi, quel labirinto formato da strade vane, da nozioni culturali e religiose acquisite passivamente? lo non possiedo il filo di Arianna, né ho la presunzione di conoscere la verità. Posso soltanto limitarmi a mostrare la strada scelta per ritrovare verità comuni, delle conoscenze vicine o lontane nel tempo e nello spazio. La ricerca parallela tra scienza, arte, religione, filosofia, mitologia e scienze esoteriche mi è sembrata un buon mezzo di conoscenza. L’uso costante di intuito e ragione mi ha aiutato a mettere da parte i pregiudizi, ad aprirmi ad ogni possibilità di verità, nella ricerca della libertà, nella libertà. La libertà offerta da un cammino non ostacolato da freni di imposizioni culturali o religiose. Uno svincolarsi da ogni sovrastruttura mentale per far affiorare il sentire più vero. Una ricerca dell’Amore compiuta con amore. 

Il centro del labirinto, meta da raggiungere è il tempio simbolico dello Spirito santo; è illuminazione, rivelazione, raggiungimento di Dio. È Buddhità, Nirvana o che dir si voglia, concesso a chi si accinge al viaggio e alle sue prove, con coraggio, amore, apertura mentale. Il labirinto è simbolo delle strade sbagliate, dei vicoli ciechi, delle anse del nostro cervello, ricerca di un centro di attrazione comune, di iniziazione spirituale, di superamento delle “prove” imposte dalla vita. Esso è il sogno di libertà (“Così conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, Gv VIII – 32). 

Sono d’accordo: non si devono offrire perle ai porci, ma occorre almeno far conoscere la possibilità di salvezza a chi desidera tentare il cammino ma è offuscato dal rigido dogmatismo privo di anima, dalla scienza lontana di Dio. Con la speranza che per qualcuno il velo si sollevi, la mitica porta si apra. Ma attenzione: per vincere dobbiamo uccidere il mostro metà uomo e metà animale che è in noi, posto a guardia del segreto. Dobbiamo, cioè, combattere la nostra natura animale. E non limitarci all’uso della scienza. Icaro con le sue ali di cera si illuse di contrastare le forze della natura. Ma il sole lo abbatté, la legge di gravità lo precipitò di nuovo sulla terra. Ciò significa che non possiamo sfuggire alle prove che la vita ci impone. Sono proprio quelle prove lo scopo della nostra vita. Ed esse sono lì per renderci liberi. 

Diana Garland 

Da “Spiragli”, anno II, n.3, 1990, pagg. 31-39.

 

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