R. Onano, Le ancora chiuse figlie marine, Bologna, Book ed., 1994.

La poesia di questo nuovo libro di Onano indossa le vesti del racconto, della narrazione. L’incipit, ellitticamente costruito o meno, spesso affidato ai connettivi temporali e ai tempi verbali del caso, decolla ora dalle sorgenti dell’indeterminazione ora da quelle delle anacronie del futuro e/o del passato: «Ancora, ancora le vedo attraverso le sbarre dove mi apposto»; «Quando divenni re degli Scebili, subito dopo il sole»; «Quando avevamo nostalgia dei conti dell’oste»; «Così raccontava il buffone di corte, noi ancora/incerti a chi corrispondere, riflessivi, la proiezione». 

Le iterazioni retoriche e l’accento espressivo, sottolineati dalla posizione trasgressiva e di scarto sul piano sintagmatico del verso, aiutano il lettore a cogliere meglio quella “fermezza gentile” che è stata osservata dalla nota di E. Grasso che accompagna e permea il testo dei toni e delle significanze, delle “parentesi” e delle trasparenti tensioni di tutte le poesie del libro. 

Antonino Contiliano

Da “Spiragli”, anno VII, n.1, 1995, pag. 63.

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