I “DIARI” DI VIRGILIO TITONE 

 Chi conobbe Virgilio Titone*, se lo ritrova nei Diari (tre volumi che raccolgono scritti che vanno dal 1920 al 1989, anno della sua morte) così com’era, invariato nel tempo, con la sua umanità, l’immenso bagaglio culturale, la sua capacità di leggere il passato e di prospettare il presente, senza farsi sfuggire niente, a costo di apparire un solitario e un fustigatore, solo da pochi apprezzato per quello che era, storico, letterato, scrittore, uomo d’ingegno versatile e geniale. 

Virgilio Titone fu un “personaggio” scomodo per il mondo accademico e per quello letterario, non certamente per tanti uomini di cultura che gli riconoscevano la genialità intuitiva del grande storico e l’abilità dello scrittore capace di dire anche quello che non scriveva. Perché nella sua parsimoniosità, al pari degli antichi scrittori, in poche parole sapeva contensare e racchiudere tanto contenuto rivelatore della sua profonda cultura. 

E gli amici, vecchi compagni di frequentazioni culturali o giornalistiche (quasi tutti ormai scomparsi, ultimo Montanelli) e gli ex alunni, che affollavano le aule dove teneva le sue lezioni, lo ricordano con grande rispetto per la profonda umanità che sapeva trasmettere e che lo faceva amare e rispettare per quello che era: un maestro di grande cultura. Così lo ricorda con belle immagini cariche di affetto e di stima lo storico inglese Helmut Koenigsberger, che, dalle pagine di Esperienze di Sicilia (Una frequentazione che dura da cinquant’anni), tesse un bellissimo elogio all’uomo e alla sua opera. E proprio di questi giorni, pubblicato sulla “Voce” di Mazara, è un profilo, seppure sintetico ma nitido, di Vincenzo Gentile, che, a proposito dei Diari, mette in evidenza «la grande coerenza, la forza dell’anticonformismo, la libertà, la religiosità, la stima per gli umili, con i quali sapeva intrattenere un dialogo schietto e lineare». E, ancora, non va dimenticato il caloroso tributo di affetto e di riconoscenza che Calogero Messina rende al Maestro nelle dense pagine di presentazione dell’opera. 

I Diari, pubblicati dalle edizioni Novecento negli anni 1996-1997, con il patrocinio del Comune di Castelvetrano (Trapani), che gli diede i natali, ci hanno restituito – dicevamo – nella sua integrità e nelle varie sfaccettature l’uomo Titone, rendendolo vivo ed ancora attuale. Gli uomini grandi sono tali perché sanno proiettarsi oltre, sanno, cioè, prevedere realtà lontane nel tempo. Chi già ha avuto l’opportunità di leggere i Diari, avrà constatato, nonostante siano passati alcuni decenni, l’attualità delle affermazioni e delle osservazioni, la ponderatezza dei giudizi, l’equilibrio nell’indicare le cose che allora si potevano fare e che tuttora potrebbero costituire un valido rimedio per ovviare a certe anomalie del vivere sociale. Ancora, il lettore avrà certamente notato la lungimiranza dei punti di vista espressi e ripresi varie volte: a proposito del comunismo sovietico, che poi crollò, della questione meridionale o di quella settentrionale. 

Trent’anni fa Virgilio Titone era il solo a parlare di questione settentrionale e nessuno lo prendeva in considerazione. Quando, poi, a distanza di anni, Bossi in altri termini, e con maniere abbastanza forti cominciò a dire le stesse cose, i governanti di turno dovettero ricredersi e, forse, pentirsi per non aver dato ascolto a chi da tempo aveva sollevato il problema con fondate cognizioni di causa. Certamente, se avessero dato ascolto al professore, che mai usava toni accademici e che, anzi, era un antiaccademico, avrebbero evitato che la Lega, allora di protesta, potesse assurgere ad elemento di rottura della stessa unità nazionale. E, stando le cose in quel modo, tutto questo era inevitabile, perché lo Stato e gli uomini che lo rappresentano, pur nel loro fare, hanno sempre trascurato le peculiarità del Sud e del Nord. 

I Diari ci danno un’immagine nitida dell’Autore. La prima impressione che anche il lettore più sprovveduto si fa di Virgilio Titone è quella di un uomo laborioso che sfrutta al massimo il suo tempo, perché possa lasciare una traccia, un segno che torni utile a sé e agli altri. E, a proposito, scrive: 

«Il pensiero è un fiume che ci trascina nella sua inarrestabile corrente. Non si ferma mai. Non possiamo non pensare. Perciò, Cartesio definisce l’anima res cogitans, essendo (sempre) pensante. Ma il pensare, nel senso più esteso del termine, si traduce e deve tradursi nel fare: nel costruire opere belle e utili per noi e per gli altri, o nell’umile lavoro di tutti i giorni, che è pure un costruire, anche quando non si pensi se non al pane da portare ai propri figli(1)». 

Titone volle essere utile fino all’ultimo, e non mancò giorno che non annotasse qualcosa sugli argomenti più disparati, dai fatti di cronaca a quelli di cultura, dalle letture che non avevano limiti di interesse, alla politica, ai mutamenti del costume e della morale. 

Quello che Sartre diceva di sé, quando gli dicevano che aveva scritto tanto («Nulla dies sine linea»), possiamo, a ragione, dirlo di lui che ha lasciato un patrimonio ricco di virtù e di opere. Perciò, scriveva ancora intorno agli anni Trenta del secolo scorso: 

«Proponiti a un tempo diversi compiti da portare a termine. Non è possibile far poco. O si fa molto o non si fa nulla. Il far molto ci dà l’abito del fare e il metodo. Inoltre ci rende orgogliosi del lavoro stesso. A questo modo si trova tempo per tutto e tutto si fa presto e bene(2)». 

Se queste brevi note ci danno già la misura dell’uomo, tanto più la esaltano gli accenti di bontà e di umanità che costituiscono l’humus di questo diario di una vita, e delle lettere, queste ultime pubblicate in appendice ad ognuno dei tre volumi. Umanità e bontà sono l’abito di chi guardò al bene comune e per questo lottò, andando contro corrente, castigando i soprusi e le angherie dei prepotenti, e fustigando i luoghi comuni. 

A leggere questo denso diario, si respira aria fragrante di libertà. E Virgilio Titone fu un uomo libero da qualsiasi condizionamento, e tale volle restare sempre, pur sapendo che la sua determinazione gli avrebbe costato tanti voltafaccia e grandi amarezze. Non se ne fece una ragione, perché, anche a constatare che i suoi articoli venivano pubblicati con cadenze più prolungate nel tempo, continuò a scrivere e a pubblicare nelle sue riviste (“La nuova critica”, “Quaderni reazionari”, “L’osservatore” ). Titone – come leggiamo nel brano sopra riportato – non rinunciò mai a pensare, che per lui significava anche agire. 

In una lettera del 1983 scrive ad un amico: «Bisogna certo pensare, ma per agire, per rendere gli altri migliori, più buoni, più onesti, più liberi dai pregiudizi comuni». Sono poche parole, ma nella sintesi, tutto un programma di vita e un messaggio rivolto non solo all’amico in difficoltà, ma a quanti hanno a cuore la pace sociale e il vivere civile onesto. 

I Diari coprono un arco di tempo che va dal 1920 al 1989. Se consideriamo che Titone era del 1905, ne risulta che molti degli scritti e pensieri riportati nel primo volume furono scritti in età giovanile, e ciò meraviglia per la profondità di sentire che vi è racchiuso. Gli stessi pensieri, ripresi ed ampliati, ma non rinnegati con l’avanzare degli anni, vengono riproposti più volte tra gli scritti della maturità e costituiscono parte del suo pensiero. Queste convinzioni così radicate gli vennero dagli studi profondi e metodici che, a partire da quegli anni lontani, lo accompagnarono per tutta la vita, da buoni compagni di viaggio, e lo fecero distinguere per serietà di intenti e coerenza. 

Dante, Goethe, Leopardi, Dostojevski, D’Ancona, nomi noti e poco noti (Lorenzo Panciatichi, poeta e letterato fiorentino del sec. XVII, per citarne uno), moderni e contemporanei, italiani e stranieri (Titone fu anche uno studioso di letterature straniere, in particolare della francese e della spagnola, di cui per un certo periodo ricoprì la cattedra palermitana), costituiscono una galleria ricca e variegata di autori che, pur nell’ampiezza degli interessi, sono il sostrato della sua immensa cultura. 

Ma, oltre all’uomo di studi, emerge da questi scritti l’osservatore attento degli uomini e delle cose. Virgilio Titone non si faceva sfuggire niente. E la grandezza dello storico sta proprio in questo, e nella capacità di spiegarsi (e spiegare) le varie realtà alla luce del vissuto, senza mai perdere di vista l’uomo e le sue vicende. Sicché i Diari sono una fonte inesauribile di notizie e di spunti, che aprono con obiettività e distacco al secolo XX quanti vogliono cimentarsi nel suo studio ed, inoltre, offrono l’opportunità di conoscere in fieri il pensiero dello storico, riversato nelle innumerevoli opere. 

Il primo volume va dal 1920 al 1969. Sono annotazioni varie e interessanti di storia (questioni meridionale e palestinese, movimenti studenteschi, realtà sovietica e Paesi comunisti), oppure, commenti a notizie giornalistiche, considerazioni e giudizi su letture le più disparate (volendo ricordare altri nomi accanto ai già menzionati: Balzac, Turgenev, Bergson, Croce, Mondolfo, Marcuse, Vallès, a parte i classici, che conosceva bene e traduceva senza ricorso ai vocabolari) e, ancora, semplici fatti di cronaca o di costume (sporcizia a Palermo, dilagare del nudo, dirottamenti aerei). 

Qualunque cosa cada sotto gli occhi o nelle mani di Virgilio Titone è suscettibile di attenzione e genera idee. Qualunque cosa, un verso o la semplice vista del mare selinuntino, è spunto per una riflessione che coinvolge tutto e tutti. 

Il 9 ottobre 1969 scrive: 

«Ieri ho fatto un bagno nel mare della mia campagna di Selinunte. Bagnandomi guardavo, come sempre mi accade, l’acropoli con le colonne del tempio di Ercole. Quel mare è antico e vi si bagnavano i miei avi selinuntini. Poiché son certo che la mia famiglia è delle pochissime che ne discendono. E anche ieri sentivo quel pieno appagamento di me stesso, che provo nel mare: come se mi liberassi da ogni cosa dolorosa e impura e mi fondessi con le acque. Ci ritornerò l’anno venturo. Dopo queste brevi pause ritorno a scrivere libri e articoli – il solo pretesto che mi resti per vivere – e a pensare ai miei morti(3)». 

Il fluire del tempo, la piccolezza umana, gli affetti familiari che ci portiamo dietro, e di cui non possiamo fare a meno, ci dicono la caducità della vita, ma anche il senso che in essa va ricercato e per il quale vale la pena di vivere. Il tutto in una forma piana e non priva di religiosità: Titone viveva per scrivere e per dare il suo contributo di idee che sono illuminanti per capire l’uomo e la società in cui vive. 

Da buon storico, l’Autore comprese bene la realtà che si stava vivendo. Gli anni Sessanta, che stavano subendo gli effetti di una economia allargata, furono anni di aperta contraddizione e di scontro, nei quali era evidente la crisi delle ideologie, tra cui quella marxista, alitante nei movimenti studenteschi. I governanti, per non perdere il controllo della situazione fecero una sterzata a sinistra, rompendo l’equilibrio fino ad allora vigente. 

L’analisi che Virgilio Titone fa di quegli anni può essere in qualche punto discutibile, ma non può non essere accolta. Il permissivismo, la corsa al posto statale, lo scadere degli studi, il successivo allontanamento dei giovani dalla politica, il barocchismo che entrò allora in letteratura, la contraddizione divenuta ancor più palese tra l’atteggiamento di pensiero e di vita, questo ed altro potevano solo suscitare sdegno nell’uomo Titone che aveva sempre lottato per la libertà dai condizionamenti e si era battuto contro “la servitù dei cervelli”. 

Il secondo volume, che copre gli anni 1970-1976, approfondisce la tematica sopra esposta, la riprende e la fa ricca di nuove argomentazioni, sempre frutto di letture di libri e di giornali. Così è anche il terzo volume che raccoglie gli scritti dal 1977 al 1989, anno della sua morte. 

Calogero Messina, nella sua calda e commossa introduzione che rievoca il maestro e l’amico, scrive: 

«Quando lo contemplavo seduto al suo tavolo stracolmo di carte nella sua sala preclusa alla luce del giorno, in compagnia dei suoi libri posati dappertutto, negli scaffali, per terra, sulle sedie, il suo volto asciutto e di grande dignità, intenti gli occhi alle pagine di un autore, pensavo a volte all’antico umanista che amava discorrere con gli uomini di altre epoche.(4)» 

Nei Diari balza subito agli occhi lo studioso, che non s’interessa soltanto di un campo specifico di conoscenza, ma è portato ad indagare su tutto ciò che è dell’uomo. In cultura era un eclettico, era aperto a tutte le istanze: voleva conoscere per paterne parlare e scrivere; in tutto cercava la cognitio causae per avvivinarsi meglio all’uomo e migliorare per quanto si può il suo viaggio tra gli uomini. 

L’immagine che Messina tratteggia di Virgilio Titone corrisponde appieno. Essa è una bella rievocazione che dice tutta la stima e la riverenza, da parte di chi lo conobbe bene e lo praticò, per l’uomo Titone, dedito ai libri e chiuso nel silenzio della stanza per studiare e scrivere. Ma se l’antico umanista se ne serviva 

* Nato a Castelvetrano (1905-1989), insegnò Storia moderna presso l’Università di Palermo. Fondò e diresse diverse riviste; tra le sue tante opere ricordiamo: Espansione e contrazione (1948), La Sicilia dalla dominazione spagnola all’unità d’Italia (1955), Origini della questione meridionale.!. Riveli e platee del regno di Sicilia (1961), Storia, mafia, costume in Sicilia (1964), La storiografia dell’Illuminismo in Italia (1969), Il pensiero politico italiano nell’età barocca (1975). 
per risuscitare fantasmi che ormai appartenevano al passato, il nostro autore studiava e scriveva per comunicare con gli altri e continuare un colloquio mai interrotto, perché a base di tutto il suo fare poneva la crescita morale e sociale dell’Italia e della Sicilia, a cui era morbosamente attaccato, anche se non fu tenero di giudizi nei loro confronti. 

Leggendo il vasto diario, affiora la chiara impressione che, in fondo, pur nei contrasti e nelle difficoltà, Titone era un ottimista, uno che amava la vita e il mondo, ed aveva fiducia negli uomini, nonostante constatasse che in certi momenti della storia tutto sembra complottare la disfatta. Eppure, non risparmiò articoli di ogni sorta, pubblicati in giornali nazionali ed isolani, finché glielo permisero, e non si stancò mai di ripetere le stesse cose. 

A proposito, il 28 agosto del 1970 così scrive a Salvatore Specchio: 

«Certamente, scriverei più spesso in quel giornale [il riferimento è al “Corriere della Sera”]. lo però non ne sono il direttore. E poi a che cosa servirebbe, se non è possibile, né in questo né in alcun altro, scrivere quello che tutti pensiamo?» 

Ma Titone non smetterà mai di scrivere, anzi rincarerà la dose, quasi per non dar tregua ad un nemico invisibile e nocivo. Già nel 1966 aveva pubblicato Il conformismo e, sempre sul tema, dieci anni dopo, pubblicherà Dizionario delle idee comuni; del 1978 è il libro La servitù dei cervelli e, di un anno dopo, Il libro e l’antilibro. 

Tutti questi scritti vengono ricordati nei Diari. In questi come negli altri, lo scrittore mette il dito sulla piaga della società, e si rivela un uomo libero e coerente che credeva davvero in un mondo migliore, nel rispetto degli altri, al di là delle parole prefatte o delle barricate precostituite. Da uomo libero dai condizionamenti, anche di partito. Le lettere, specie del III volume, ne sono la testimonianza. 

L’alto senso della libertà portò Virgilio Titone a parlare e a scrivere con la sua testa. Ad esempio, si parlava, allora come ora, dello stato di disagio della Sicilia, ripetendo discorsi già triti e ritriti e citando statistiche. Titone rigettò energicamente questa tesi, al contrario parlò, e scrive nel suo diario, di una Sicilia ricca, capace di poter essere gestita in modo autonomo. Eppure questo non avvenne allora, e non avviene ancora oggi, se non in timidi tentativi, sia per 

consuetudine radicata nei Siciliani di apparire quelli che non sono per ottenere agevolazioni statali, sia per la rapacità di molti politici che dalla dichiarata questione traevano (e traggono) tanto profitto. Queste le conclusioni a cui perveniva lo storico, e da esse partiva per parlare di questione settentrionale con i suoi risvolti negativi per tutta l’Italia. 

I Diari di Virgilio Titone aprono il lettore a tutto un caleidoscopio di idee e di pensieri che costituiscono il fondo della sua vasta produzione. E il lettore, o lo studioso, che si accinge ad esplorarla, non può non tenerli in considerazione, se vuole davvero comprenderla. 

Le lettere, che il Messina pubblica in appendice ad ogni volume, sono di prezioso corredo, perché mettono arcor più in evidenza l’uomo e le sue idee, con i molteplici interessi e gli amici, tra i quali scrittori di alto livello nel panorama italiano del secolo scorso. Ciò vuol dire che Titone era tenuto in grande considerazione come studioso e come scrittore, e per questo apprezzato e letto. 

Titone era vocato alla scrittura. Scriva di storia, di sociologia, di critica o altro, egli rimarrà anzitutto uno scrittore degno di essere accostato ai nostri migliori. Si leggano le opere di narrativa (Storie della vecchia Sicilia, Vecchie e nuove storie di Sicilia, Le notti della Kalsa di Palermo), o quelle sopracitate o le tante altre non menzionate: in tutte c’è il rispetto della parola, ponderata e messa al posto giusto, indice di padronanza del lessico che s’accompagna alle idee, di cui l’autore si fa portatore, ma c’è anche il rispetto del limite, cioè, la capacità di dire molto nella stringatezza, senza che ciò pesi nell’economia della pagina, anzi la rende agile e piacevole. 

Certamente le doti dello scrittore emergono nella loro luce più vera nelle opere di più ampio respiro, ma i Diari, appunto perché raccolgono scritti per lo più brevi, finemente lavorati, sono una palestra di stile. Molti di essi sono veri e propri poemetti in prosa che ci riportano alla migliore tradizione nostrana, a partire da Savarese, 

Rosso di San Secondo, Borgese, tutti ricollegabili alla “Ronda” e a Cecchi, con cui il nostro autore era in buonissimi rapporti. 

Virgilio Titone, con sobrietà e, nel contempo, con grande sensibilità, affida alla pagina se stesso, senza barocchismi o sentimentalismi. Ed è quello che da un vero scrittore dobbiamo sempre aspettarci. 

Salvatore Vecchio 

1) Diari (1977-1989), pag. 77. 
2) Diari (1920- 1969), pag. 114.x
3) Ivi, pagg. 208-209 
4) Ivi, pag. 170

Da “Spiragli”, anno XIV, n.1, 1999 – 2002, pagg. 4-12.

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