Elena Milesi, Paggio in viaggio, Torino, Genesi editrice, 1991.

Un viaggio augurale

Si legge con gusto Paggio in viaggio di Elena Milesi; è una miniera di immagini che si rincorrono, si perdono, si cercano a rimpiattino con un gioco festoso e splendido come può esserlo il leit motiv di una sinfonia cromatica di altri tempi. È la musica che ci viene da lontano sul filo delle tradizioni da ritrovare di cui il Paggio è l’annunciatore felice con la sua spada d’argento in pugno per fugare le tenebri incombenti del nostro tempo perverso. Ci fa riprendere coscienza del contrasto con il nostro rumore assordante dove l’arrembaggio è parola d’ordine, e il disordine nel corpo e nella mente. Il Paggio dice basta a tutto questo e parte, lancia in resta a testa alta, fiero di precedere «un altro Angelo (che) sguainerà la spada/ contro questa peste». Paggio come Amore, come Angelo, Spirito guida per aiutarci a « scavare il pertugio d’oro / per l’occhio del sole».

Noi vediamo crescere i fanciulli con disappunto e dolore; gli anni dell’adolescenza ancora fusi all’infanzia e proiettati nell’ignoto del futuro rimangono delusi della realtà, il disamore li traumatizza mentre vorrebbero nutrirsi d’amore come la loro età li sollecita d’istinto. È l’età in cui prendono coscienza di un mondo violento e falso da abbordare loro malgrado; unificarvisi oppure cedere a paradisi artificiali per surrogare quelli dell’infanzia felice o mancata. Tutti i fanciulli del mondo sono piccoli paggi brutalizzati in questa civiltà corrotta che li priva di tenerezza e di comprensione.

I loro desideri sono fugati troppo 

presto dalla loro anima assetata di gioia cui vorrebbero uniformare il mondo per un futuro da conquistare a misura della loro umanità. Purtroppo solo i più fortunati riescono a equilibrare le loro nascenti pulsioni sul filo dei “palloncini colorati” da far scoppiare nel momento creativo di sensate iniziative. Il punto è avere i maestri giusti, altrimenti rimangono immensi nelle nevrosi e nelle inquietudini che ammalano l’anima per tutta la vita fino a scendere nell’abisso della violenza e del terrorismo, giusto quello che la società ha insegnato loro, e nel «delirio salpa la nave dei pazzi».

Paggio in viaggio sollecita alla memoria la visione di una gioventù felice ed appagata nelle sue pulsioni interiori proiettate al bene, e certo il viaggio non può essere che augurale della buona novella risanatrice verso una riconciliazione umanistica per l’edificazione del III millennio. Avanti, sembra dire, venite con me ad altre sponde.

Lasciamoci guidare dal Paggio fanciullo amico dei fanciulli. Egli viene alla testa di un corteo già formato di giovani ansiosi di marciare con lui verso la luce limpida del mattino per le nuove tenzoni dello Spirito ed esorta come Gesù. Il Paggio con passo lieve li condurrà «in alto là dove cadono le cose / splendono eterne, particelle divine».

L’attesa del sacro si fa voce per un futuro meno aberrante e caduco dove le nuove generazioni più attente alle profonde intuizioni dell’essere sappiano fare tesoro delle meravigliose risorse dello Spirito, il solo che unisce le genti nella ricerca di un dominatore comune, Dio. Purtroppo i nostri paggi sono ammalati: la morte di Dio come l’assenza del Padre è stata fatale alla loro evoluzione psichica, ma per fortuna c’è un Paggio Padre che li segue dall’alto; silenzioso e accorto illumina dove vuole perché la ricerca sia fruttuosa. Ecco l’invocazione salvifica: «Si è coricato il sole e non si sveglia / Paggio, teniamoci per mano in questo buio». A testa alta!, esorta il poeta, la dignità ormai è: «senza cinte: i costumi rilassati»; non attendiamo oltre. Tuttavia, quando tutto sembrerà perduto ci sarà sempre la salvezza per chi: «ritorna dentro l’uomo / alla scoperta del mistero», e per i bimbi ci sarà per sempre un Paggio ad attenderli a braccia aperte, e saranno «quelli che cambieranno il mondo».

Il Paggio è una figura regale e la poesia di Elena Milesi gira attorno a problemi esistenziali drammatici con fare regale, li punzecchia anche con ironia come si addice dal’alto di una superiore forza, li stringe infine amabilmente nell’intento di entrare senza forzature nell’animo del lettore. Se sarà in grado di cogliere il messaggio, sfronderà da sé le scene delle parti per capirne l’essenzialità e farne tesoro. Un po’ per celia e un po’ per non morire, dunque, ma che l’abilità del poeta si avverte attenta e sagace al punto di servirsi di un’entità magica come il Paggio Spirito-Guida per aprirsi a sfere di conoscenza meditativa ed instaurare così una filosofia di vita nuova.

Il discorso raffinato fa risaltare la volgarità imperante ancora più disgustosa nel confronto di chi nella sua fragilità mostra una sapienza millenaria che ribadisce, in sostanza, che l’uomo può cambiare le carte della sua esistenza finché vuole, ma che sempre si troverà ad indagare nelle domande di sempre, dinanzi alle quali l’oracolo di Delfi dette una sola risposta, per prima cosa: Uomo, agnosce te ipsum.

Rosa Barbieri

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pagg. 60-61.

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