Nella pensione della Raimunda 

racconto di Paulo Dantas 

A Simao Dìas, mia città natale, terreno della mia infanzia, c’è un largo della matrice con tante palme imperiali. Ricordo bene che in un canto c’era la pensione gestita dalla Raimunda, che passava per figlioccia di mio padre. Era una signora un po’ scaduta in anni ma d’un’allegria che contagiava tutto e tutti. Sempre un sorriso in bocca. 

Nella casa c’era una camera riservata dove lei amava ricevere ospiti illustri di passaggio, che del resto godevano di un trattamento speciale, la cosiddetta camera dei principi. 

La Raimunda era esperta in assedi amorosi, cui i gentiluomini stentavano a sottrarsi. Una volta capitò a un romantico senatore del Sergipe, il quale, per sottrarsi all’insidia, pensò di venir meno … L’indomani la Raimonda non risparmiò la notizia. Il che per qualsiasi uomo è la fine. 

Una notte, anch’io fui vittima degli assalti, ma restammo buoni amici, avendo prima assistito a un film melodrammatico: Imitazione della vita, con la Raimunda sciolta in un fiume di lacrime. Lei piangeva ed io piangevo, in un soave convivio. Senza dopo. 

Ma ora viene il meglio. Una notte arrivò in pensione un uomo strano, tipico esemplare dell’ antropologia turistica: era andato a raccogliere materiale di prima mano per un romanzo sulla guerra dei Canudos; aveva esplorato vari villaggi dell’interno, dove gli abitanti diffidenti non aprono bocca. L’uomo non era altro che il romanziere peruviano Mario Vargas Llosa. 

Era notte e il popolo della pensione era nel sonno. Lui a letto, in una vestaglia verde e nera, alla luce di un lume da comodino, leggeva Os Sertoes di Euclides da Cunha. 

Fu allora che irruppe in camera la Raimunda esclamando: «Eta homem danado de bonito!» nella sua lingua di casa. 

Il letterato, preso alla sprovvista, si chiuse a riccio protestando: «Yo nada disso, non non», un misto luso-hispanico. 

Non invento storie. Fui testimone oculare. Vidi il romanziere gentiluomo, svestito così com’era a letto, correre per il largo della matrice e la Raimunda appresso a chiamarlo come si chiama un cagnolino scappato dalla cuccia. 

E chiaro che un uomo così, adusato a donne di mondo e d’ogni lingua, giammai poteva intendere la sfrenatezza di quella donna cruda. 

Il gran romanziere non aveva intuito un gran tema da romanzo. 

trad. Renzo Mazzone 

da «Literatura Brasileira», n. 45, Sào Paulo

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 43.

Print Friendly, PDF & Email

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato.


*