Il racconto del sole di Patrick Grainville* 

Faccio il professore in un liceo di periferia. Un anno fa mi è accaduto un fatto irrimediabile. Il sogno di ogni insegnante di lettere. Addirittura l’incubo, la sua maledizione. 

Mi chiedo, come si fa a essere all’altezza del genio? Figuratevi il professor Izambard che un bel giorno, al collegio di Charleville, scoprì nella sua classe Arthur Rimbaud! Uno shock incredibile: frasi dettate da Lucifero, in un’alchimia degli Inferi. Una pioggia di ukasi stellari. Proprio lì davanti a te, nel tuo angolo sperduto in capo al mondo, la catastrofe della bellezza. Un sisma verbale inedito. 

È settembre a Sartrouville; un rientro dalle vacanze come tanti altri. Non noto nulla di particolare nel ventaglio di alunni che mi si squaderna davanti… Lei, non la vedo neppure! La ignoro per ben due settimane. Lei, il mostro! Potremmo battezzarla Arturina, in ricordo di suo fratello Rimbaud! 

Lei, tiene nascosta la sua essenza coriacea. 

Per valutarli, decido di assegnare loro un primo tema piuttosto libero, invitandoli a una galoppata di prova. 

Le regole del gioco, quelle dell’esame di maturità verranno a suo tempo. Si torna dalle vacanze estive: l’argomento è il sole. Cosa rappresenta per voi il sole? 

Comincio a leggere gli elaborati a casa, senza eccessiva curiosità Sono meno entusiasta di una volta. Qualsiasi vocazione finisce con l’attenuarsi, prima o poi. All’improvviso, il fuoco mi investe in pieno volto. Un dardo di fuoco. Parole che mordono, possenti, di una bellezza inesplicabile. Non frasi, ma parole carnivore. Senza una costruzione compiuta, ma ruvide e incastrate in associazioni audaci e calcolate. Un susseguirsi di corto-circuiti, lampi, saette e meteoriti. Non ho parole per descrivere le sue trovate. Ma, attenzione! Nessuna anarchia adolescenziale in tutto questo. Nessun rigurgito surrealista. Solo espressioni compatte, allucinate, lucide. E poi, necessarie, solide, crude e magnetiche. E quelle massime infuocate si alternano ad assiomi gelidi. Il contrasto mi affascina, al pari della speculazioni sul sole e sul desiderio, e ancora sull’amore e sulla carnalità Un miscuglio di sottigliezza ed efferatezza che sconvolge in un’alunna così giovane. 

Allora, mi precipito sulla sua scheda personale. Appartiene a una famiglia modesta e ha 17 anni. Giustamente, la stessa età di quell’Altro, il suo gemello fulminante: Arthur. Ed è nata ad agosto. 

Mi piace che il suo mese sia quello dei parossismi, degli eccessi anche del tempo, delle sue parentesi nude e roventi. 

Ho un solo desiderio: conoscere il volto dell’autrice. L’indomani mi fiondo al liceo. Come sempre, restituisco gli elaborati nell’ordine in cui si presentano. Quando arriva il suo turno, pronuncio il suo nome. Lei alza il dito e io mi dirigo verso Arturina, finalmente rivelata. Eccola! È bella, di una bellezza dissimulata. Da lontano la si crederebbe un po’ slavata o insignificante. Da vicino, sotto il mio naso, mi si offre un viso d’acciaio, di un freddo polare. È alta e slanciata, con occhi di un grigio purissimo. Dà l’impressione di uno spessore e di una concentrazione offuscata, ma studiata. C’è qualcosa di agguerrito in lei, come l’attesa di un’imminenza. Di colpo, me ne sento minacciato, ma ignoro il pericolo che potrebbe piombarmi addosso. 

Lei, non sorride. Quando le poso davanti il suo compito, sento che è necessario tacere e che non posso esprimere il mio entusiasmo, lì davanti agli altri. Sento che mi giudicherà in base alla mia capacità di tacere. Io, taccio; mentre i suoi occhi mi spiano, sondandomi lentamente. Poi, fuggo verso la cattedra. 

Finita la lezione, mentre lei si accinge a uscire dalla classe, le faccio un segno e aspetto che gli altri si dileguino. Allora, le svelo la mia sorpresa e le chiedo se è consapevole di avere scritto delle pagine… straordinarie. Lei risponde con calma: 

– Sì penso di sì… Lo credo bene. 

– Ne hai scritte delle altre? 

– Sì tante. 

È talmente fiera che mi squadra dall’alto in basso. Sembra una spada. Fanciulla bellicosa dallo sguardo sagace, di un grigio come il Mare del Nord, senza pietà Mi sta piantando negli occhi quel pugnale grigio del Nord. 

Due giorni dopo, mi lascia un manoscritto sulla cattedra. Sono un centinaio di pagine e di un vigore che mi pietrifica. Le parole cadono come mannaie, e corrono come kriss kamikaze, facendomi sentire come crivellato dai colpi. Sì mi sento come il bersaglio di quei segni a cui è affidata una confessione in codice, esplosiva, da cui traspare un segreto terribile, attraverso l’associazione di una vitalità cieca a una lucidità atroce. 

Durante la notte, leggo e rileggo il testo di un’adolescente satura di odio solare, a tal punto che in lei l’astro stesso sembra esplodere, incendiando le nostre fatiche e le nostre certezze, e inghiottire tutto nella sua fiamma cosmica, lasciando sussistere solo due tracce di elio grigio in quegli occhi di fanciulla. 

All’ultima pagina mi ordina di non parlare mai con nessuno di ciò che ho letto, di mantenere il segreto assoluto, visto che non sarà mai pubblicato: “È un divieto categorico, senza appello!”. 

Quando le restituisco il testo, le chiedo perché me lo ha fatto leggere, se non ne devo parlare con nessuno. 

– Avevo bisogno di un testimone. Uno solo e basta. In fin dei conti, non sono talmente forte da poterne fare ancora a meno. 

– Ma il tuo scritto mi tormenta, dal momento in cui l’ho letto. 

– Lei vuole alleviare il suo peso, insomma. Certo! 

– Ma io non perdonerò la più piccola deroga. Al primo passo falso, sarò spietata… 

– Ma io non potrò dimenticare la crudeltà infinita di ciò che ho letto. Tu non hai il diritto di farmi condividere 

l’inenarrabile. 

– Le sarà necessario trovare la giusta distanza per non esserne divorato. Anch’io mi sentivo divorata dai miei 

racconti. Allora, ho trovato la distanza, grazie a lei! 

– Alla fine sorride e mi appoggia una mano sulla spalla. È come un gesto che sancisce un patto, ma anche il dono di una grazia misteriosa. Da quel momento mi possiede con la promessa del silenzio riguardo al suo racconto mostruoso e segreto. Non so se mi odia o se, invece, mi ama un po’. 

P. G. 

(trad. it. di Brigida Fagone) 

* Patrick Grainville è uno scrittore francese (oltre che critico letterario del “Figaro”), nato il I giugno 1947 a Villers-sur-Mer (Calvados). Ha trascorso l’infanzia a Villerville, piccolo centro situato ad est di Deauville. Professore di lettere, riceve a solo 29 anni il prix Goncourt 1976 per il suo quarto romanzo, Les Flamboyants (I fiammeggiatori). 

Altri suoi romanzi: Le paradis des orages (1986), L’rgie, la Neige, prix Guillaume le Conquéant (1990), Le Jour de la fin du monde 

une femme me cache (2001), La Main blessé (2005), Lumièe du rat (2008), Le baiser de la pieuvre (2010).

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