M. Caruso, Il ladro di sogni, Roma, E.I.L.E.S., Pagg. 126.

 Con Il ladro di sogni Mario Caruso chiude la trilogia dei suoi romanzi. Se con Il balcone del professore Agostino Vicoplato certi luoghi comuni sono condizionanti della vita umana, se ne L’ascensore di Cartesio il dubbio vitalizza la nostra esistenza, ne Il ladro di sogni la speranza emergente del bene comune spinge l’uomo, nonostante le difficoltà, ad operare e ad imporsi. 

Tutte e tre i romanzi, da angolazioni diverse, prendono spunto dal vissuto quotidiano. Ma se nei primi l’interesse di Mario Caruso è rivolto a Singoli individui che vivono determinate situazioni, a prescindere dalla loro volontà, ne Il ladro di sogni il condizionamento è più evidente che mai. L’uomo non solo è manipolato da forze occulte che agiscono per imporre i loschi interessi di un gruppo sparuto di persone, ma addirittura è condizionato in ciò che gli appartiene e di cui non può fare a meno: la volontà di darsi ai sogni o, meglio, di sognare come liberazione di sé, degli altri, del mondo che lo circonda, per realizzare, a volte, l’irrealizzabile, che è proprio della speranza. È quanto di più brutto ci possa essere, è come tagliare le ali ad una farfalla. 

Tutto ciò in un’aureola di fantapolitica, perché, a mio avviso, c’è l’amara realtà che cade sotto i nostri occhi, ma che abbiamo difficoltà a riconoscere come tale. I fatti di cronaca recente o lontana di scorie tossiche o di pseudo ricerche umanitarie ce ne danno prova. 

Fantapolitica, allora. E noi ce lo augureremmo, se effettivamente fosse cosi. Ne Il ladro di sogni c’è il bisogno di voler pensare in positivo, di volere costruire, come fa uno dei protagonisti del romanzo, rivelando agli altri i retroscena più mortificanti e deleteri. 

È l’affiorare di un ottimismo che ci vuole vigili e consapevoli di quanto accade per controbattere i colpi mancini che giungono inaspettatamente da ogni parte, causando all’uomo e all’ambiente danni irreparabili. 

Salvatore Vecchio

Da “Spiragli”, anno IX, n.1, 1997, pagg. 43-44.

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