«PANEGIRICO» 

Uno degli assiomi della «Filologia Dinamica» recita: «La Storia dell’Uomo sulla Terra nelle «paroles». Dell’assioma prova nella «parole»: Panegirico.

Il «panegyrikos logos»: il discorso sacro che dal pronao del tempio il sacerdote teneva ai convenuti devoti da tutte le città e le parti della Grecia a celebrare la ricorrenza della festa del dio. L’assemblea delle genti greche nelle feste panelleniche si chiamava: ‘panegyris»; questo raduno possibile anche durante le guerre: in ragion della tregua: «spondai» tutti avevano la «eleutheria: libertà di passaggio» attraverso le terre greche per raggiungere il tempio.

Teneva il sacerdote il suo sermone: «panegyrikos logos» e inneggiava al dio festeggiato cantandone gesta e miracoli compiuti a beneficio delle genti greche e di tutta l’umanità. Quello che il sacerdote predicava stava scolpito nel timpano del frontone del tempio e nelle frise.

Tanto voleva, tanto imponeva il sentimento religioso.

Decadeva il sentimento religioso; la politica invadeva il vuoto lasciato dalla religione. A prova di questo scadimento e dell’azione politica nella «polis» testimonianza nel «panegyrikos logos» che non più recitato dai sacerdoti, dauomini politici veniva recitato dal «bema» nell’«agorà» davanti all’«ekklesia» dei cittadini. Parlava l’oratore e celebrava i meriti della «polis» e le benemerenze da Atene acquisite davanti ai suoi cittadini e davanti ai popoli dell’Ekumene che da Atene avevano tratto quanto rendeva la vita degna di essere vissuta.

Tanto voleva, tanto imponeva la politica.

I Trenta Tiranni occupavano Atene e il potere esercitavano a danno dei cittadini, a vergogna della «polis» a morte di quanti si opponevano, di quanti avevano ricchezze da accendere cupidigia negli animi di quei Tiranni. In quei giorni di oppressione il «panegyrikos logos» non poteva essere recitato e se qualcuno lo scriveva segreto lo teneva passandolo ad amici perché segretamente lo leggessero come segretamente l’avevano ricevuto.

La libertà una volta persa non la si riacquista e per colpa dei tempi mutati e per l’indolenza degli uomini.

Filippo dalla Macedonia nell’Attica e in teatro cantando: «Demostene di Demostene, di Peana profetizzava questo!», toglieva agli Ateniesi «Graeculi» la residua libertà se ce n’era ancora nella città. A Filippo succedeva Alessandro il Grande e se qualcuno ricordava il genere letterario del «panegyrikos logos», del panegirico non poteva ricostruire la religiosità scomparsa e la libertà ugualmente sparita.

Moriva Alessandro a Babilone di Babilonia e gli succedevano i Diadochi che fondavano i regni ellenistici dividendosi l’Impero d’Alessandro ma non ridavano la religione antica e l’antica libertà ai popoli sotto il loro dominio.

Si tenevano panegirici ma in lode dei regnanti sovrani che non per burla e non per sbaglio venivano celebrati dèi presenti in terra.

Dopo Azio e dopo la conquista d’Egitto, padrone di tutta l’Ecumene Mediterranea essendo l’imperatore di Roma, il panegirico continuava nell’Urbe e si teneva davanti ai Rostri nel Foro Antico sul corpo del morto imperatore.

Si succedevano gli Imperatori sul soglio del «Palatium» sul Palatino e all’imperatore Ulpio Traiano, Plinio il Giovane teneva panegirico in lode dell’«Optimus Princeps Incomparabilis» per tre giorni: «triduo».

Crollava l’Impero e nel vuoto si lanciavano le orde selvatiche del «barbarame» nordico e la Santa Chiesa Cristiana, Apostolica, Cattolica e Romana si poneva scudo e si faceva usbergo degli umili abbandonati alla selvaggia furia dei barbari invasori.

Rinnovato s’accresceva il sentimento religioso e nelle chiese dai pulpiti, dai pergami e dagli amboni i predicatori tenevano panegirici in lode dei Santi che la vita avevano speso a pro degli altri e il sangue avevano sparso a difesa degli altri.

Ogni Santo del menassario romano aveva il suo panegirico che d’anno in anno rinnovato e ripetuto rinfrescava nelle orecchie e negli animi dei fedeli la memoria del Santo e delle sue virtù praticate in grado eroico.

Oggi, nella miseria proterva dei tempi correnti, la scomparsa di tutti i valori s’accompagna allo scadimento del sentimento religioso; questo scadimento ha portato la scomparsa del panegirico dalle chiese e alla susseguente «fossilizzazione» delle «parole» dal linguaggio comune non però dal vocabolario; nel vocabolario essa resta muto «fossile» d’epoca passata e d’una religiosità scomparsa e di un genere letterario radiato dall’attività degli scrittori che dicono: «Non mi far il panegirico!» a chi tenta di lodarli e sornioni non sanno d’essere i becchini di loro medesimi.

Questo voleva dimostrare e tanto ha dimostrato la Filologia Sperimentale: la storia greca, la storia ellenistica, la romana, la medievale, la moderna e lacontemporanea, seguendo il diacronico della «parole»: panegirico.

Da “Spiragli”, anno I, n.3, 1989, pagg. 6-7.

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