Pino Aprile, Terroni (Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero “meridionali”), Milano, Ed. Piemme, 2010.

Apriamo gli archivi (e gli occhi), leggiamo la storia!

Di solito, dopo cinquant’anni, stemperati gli ardori e le passioni degli uomini che l’hanno condizionata, la storia si delinea e svela nella sua luce migliore. Ma non è così per quella unitaria del nostro Paese o, perlomeno, per la parte dello Stivale che fu conquistata per rendere grande il piccolo Piemonte. Questo pezzo di storia, a centocinquant’anni dall’unità d’Italia, non si conosce affatto e non si vuole che si conosca; meglio se rimane ancora richiusa a chiave negli archivi o distrutta, ad onore e gloria della retorica ufficiale che continua ad osannare ai “fratelli” che vennero a liberarci dalla “tirannia e dall’arretratezza”.

Sempre più in molti ci chiediamo: perché quest’accanimento contro la verità storica che non può essere taciuta? Forse si teme qualcosa? Ormai, l’Italia è stata fatta, e nel bene e nel male ce la teniamo. Nessuno la pensa diversamente, ma conoscere la storia, conservare la memoria di quello che è stato, è un diritto di tutti che avvicina a sé e all’altro. Venendo a mancare questa conoscenza, non ci può essere dialogo e si alimenta di più il razzismo. La riprova è in quello spavaldamente manifesto dalla Lega e dal leghismo di questi ultimi tempi. Qualcuno, nei primi anni dell’avvenuta unità disse, a ragione, che s’era fatta l’Italia, ma non gl’Italiani, e lo diceva con cognizioni di causa; a tuttora, non è cambiato niente. Si è creato un muro divisorio Nord/Sud discriminante, favorevole per il Nord e penalizzante per il Sud, con la complicità di tanti che, pur potendo, niente hanno fatto per risollevare le sorti del Sud, maltrattato sempre persino dai suoi uomini, tutti presi da pseudopolitica e da interessi di ogni genere. Tutto questo discorso, ben modulato e argomentato con solide pezze d’appoggio, è ripreso da Pino Aprile nel suo nuovo libro Terroni (Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero “meridionali”), pubblicato dalla Piemme ed., 2010. È un libro da leggere, a prescindere dalla geografia di appartenenza, perché è utile anche ai nordici conoscere la controstoria, se non altro, per ridimensionare il loro atteggiamento nei confronti della gente del Sud, e interessa quest’ultima per tenere alta la memoria e riconsiderarsi, riprendendosi l’orgoglio che era dei padri.

Il libro si compone di nove capitoli, e si legge come un romanzo, una pagina tira l’altra, ma romanzo non è, tanto meno è storia romanzata; bensì vera che non ha spazio (così vogliono!) nei libri di scuola e che è stata scritta da uomini che meridionali non erano prima dell’unità o, meglio, prima dell’occupazione piemontese del Regno delle Due Sicilie. C’è una frase che colpisce, leggendo il primo capitolo “Diventare meridionali”, a proposito delle malefatte, le angherie e le uccisioni perpetrate dai soldati piemontesi nei vari paesi messi a guerra e a fuoco: «Criminale non è quel che fai, ma per chi lo fai», come a dire che, se agisci per conto dello Stato, tutto è concesso; e, a colpi di crimini e di furti, si fece l’Italia, contro il diritto internazionale e contro l’umanità, così fu per la conquista dell’America, da parte di Hernán Cortés, così in Iraq e negli altri Paesi, dove Americani e Alleati fanno guerre in nome della democrazia. L’altro che difende la sua terra e la famiglia è un criminale e un terrorista, l’aggressore è il liberatore a cui tutto è concesso, anche lo stupro e l’uccisione di innocenti con la colpa di aver detto – ai soldati che chiedevano – Francesco, anziché Vittorio.

Eppure queste cose non si sanno, la storia ufficiale scrive ben altro; parla di briganti e dello Stato che interviene per imporre la legge dei vincitori, marcando di più la separazione dai vinti. A proposito del patriota borbonico Romano, Pino Aprile scrive:

«E mio padre ne doveva aver udito parlare in quei termini: da messia, non da delinquente. A lui, persone vicine ai fatti narrarono il coraggio di un uomo; a me, i libri di storia, il disonore di troppi ribaldi e del popolo che li espresse. Dall’orgoglio alla vergogna. Sono sempre più numerosi, al Sud, quelli che ripercorrono questo rio all’incontrario, per ritrovare, con la verità sull’origine della loro storia unitaria, la ragione di essere fieri. E uscire dallo stato di minorità.»

È, questo della “minorità”, un altro punto fermo del libro; è ripreso qua e là, e l’autore gli dedica anche un capitolo. Il Sud è stato – a cominciare dallo sbarco di Garibaldi a Marsala – oggetto di metodica spoliazione che lo rese nel giro di pochi anni povero e in condizioni pietose, sia dal punto di vista materiale che morale (basta pensare alla leva obbligatoria che tanti rifiutarono, dandosi alla macchia, e quella che fu una protesta di popolo fu chiamato brigantaggio), con la conseguente umiliazione del sé che, a lungo andare, condizionò di molto le popolazioni, facendole passare per arretrate e incuranti della legalità. Ma – ci chiediamo -, quale legalità poteva vigere in uno stato di continuo assedio in cui si trovava il Sud, vilipeso e martoriato dall’arroganza piemontese? La verità è che con quell’arroganza il Piemonte s’impadronì della ricchezza che aveva fatto potente il Regno borbonico, mentre l’umiliazione inferta alle popolazioni le condizionò tanto da subirne tuttora le conseguenze e, intanto, in quegli anni si sperimentavano ancora di più la mala politica, la delinquenza associata e la corruzione, che cominciò a interessare anche le istituzioni.

La frase che rimane impressa ed è stata un po’ prima riportata («Criminale non è quel che fai, ma per chi lo fai»), al termine della lettura del libro, appare ancora più chiara perché nell’immaginario comune razza di criminali sono i Meridionali che, invece, hanno subito e continuano a farlo, per questi centocinquant’anni dall’unità, il male dei nordici; non quest’ultimi, perché vincitori e fruitori delle ricchezze saccheggiate investite nella loro terra, rendendola ricca e privilegiata da avere il primato delle industrie e degli inve stimenti, a scapito delle altre regioni. 

Il libro – abbiamo scritto – è fatto con amore, è ben documentato, e merita di essere letto perché è un gran contenitore di notizie che, altrimenti, non potremmo conoscere, sia per i motivi sopra esposti, sia perché l’informazione ufficiale non è disposta a diffondere e rivelare notizie di questo genere. Piuttosto ha interesse a divulgare il negativo, e ad essere colpiti di più sono i Meridionali per mettere in risalto la loro “minorità”, rispetto ai Settentrionali che godono anche di questi favoritismi. Persino il cinema segue questa tendenza, diffondendo un’immagine del Sud e della Sicilia stereotipata e falsa, nascondendo le magagne del Nord, dove s’annida la vera mafia dei capitali e degli intrighi.

L’auspicio, che poi è quello con cui Pino Aprile conclude la sua analisi, è ritrovare il passato e l’identità che ci è stata tolta quasi del tutto, e nella consapevolezza cominciare a riprenderci il maltolto e governarci nella vera autonomia (non quella della Regione Sicilia, ancora rimasta sulla carta statutaria). C’è l’intraprendenza, c’è l’intelligenza, ci sono anche le risorse per potere emergere! Sono esse i lieviti forti che da soli possono e devono risollevare il Sud.

Salvatore Vecchio

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pagg. 51-53.

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